Lontani da casa - I profughi delle Giudicarie (Tn) nella Grande Guerra

La ricerca sui profughi giudicariesi della Grande Guerra si è conclusa dopo tre anni con la pubblicazione di un libro, l’esposizione di una mostra e i cinque incontri territoriali che si sono tenuti a Condino (28 dicembre), Ponte Arche (3 giugno), Spiazzo Rendena (29 luglio), Carisolo (30 agosto) e Tione (10 settembre).

La ricerca è stata portata avanti dal Gruppo istituito dal Direttivo del Centro Studi Judicaria il 24 ottobre 2012. Era composto (ed è composto, perché il lavoro proseguirà su altri temi) da nove persone rappresentative delle quattro aree delle Giudicarie: per la Valle del Chiese Gianni Poletti (coordinatore), Antonio Armani e Maddalena Pellizzari; per le Giudicarie Esteriori: Micael a Bailo, Diego Salizzoni e Cristian Malacarne; per Tione e dintorni Renato Paoli e Gilberto Nabacino; per la Val Rendena Claudio Cominotti. Alla composizione del libro ha partecipato anche Quinto Antonelli con un saggio sulla situazione economica. Va segnalata inoltre la partecipazione di un gruppo di studenti dell’Istituto Guetti di Tione, che hanno prodotto il docu-film “La trincea nell’anima”.

Abbiamo ricavato le notizie da fonti diverse: l’Archivio di Stato di Trento, l’Archivio Vescovile, gli Archivi parrocchiali e comunali, le memorie popolari conservate in documenti privati e trasmesse nel “parlato di casa”. Ne è uscito un lavoro che rappresenta uno “studio di caso”, perché la vicenda degli “spostati” giudicariesi è un “unicum” nel panorama del profugato provinciale. Infatti oltre l’80% di essi, quasi tutti della Valle del Chiese, non fu mandato a nord delle Alpi, come accadde per altre valli del Trentino, ma andò a patire la fame a Tione, in Val Rendena, nel Lomaso e nel Bleggio.

Allo scoppio del conflitto le Giudicarie contavano 37.905 abitanti, 350 in più di oggi. Quasi 5.000 di essi furono arruolati o militarizzati, almeno 120 furono internati o confinati dall’Austria a Katzenau e altre località perché “politicamente pericolosi”, 6.834 furono profughi, di cui 1.236 nel Regno d’Italia e 5.598 in Giudicarie (i dati si riferiscono al censimento dell’agosto 1918). Il 32% della popolazione, una persona su tre, visse quindi quattro anni lontana da casa.

Inoltre furono profughe in Giudicarie altre 888 persone non giudicariesi, provenienti in gran parte da Arco e Riva, ma anche da Trento e dalla Valsugana. In alcuni paesi delle Esteriori, di Tione e della Rendena, ogni due persone residenti c’era un profugo.

Furono evacuati 15 paesi della Valle del Chiese, di cui 2 (Condino e Brione) con destinazione Lombardia, Piemonte e Liguria, mentre il Comando austriaco ritirò gli abitanti degli altri 13 (da Cimego a Bondo) una ventina di chilometri oltre la prima linea che andava dal Cadria all’Adamello e alla Presanella. Non furono evacuati Storo, Darzo, Lodrone e Bondone.

Gli italiani occuparono Condino l’1 giugno del ’15, senza sparare un colpo. Il Comando si stabilì nel palazzo municipale ed espose la bandiera tricolore. Alla sera del 3, festa del Corpus Domini, una granata sparata dai forti di Lardaro scoppiò davanti al municipio uccidendo due sentinelle e una donna. I soldati sparsero la voce che in paese dovevano esserci delle spie, altrimenti gli austriaci non avrebbero potuto colpire con tanta precisione.

Di qui l’ordine di sgombero immediato: “Via subito, tempo due ore”. Partirono tutti, all’infuori degli 8 già internati a Katzenau e di un commerciante di legname, originario di Tiarno. Fu accusato di essere una spia che trasmetteva informazioni al nemico. Venne fucilato due giorni dopo. Il cadavere fu sepolto in un campo e sul tumulo fu piantata una croce con la scritta “Qui giace una spia”.

Il governo italiano non aveva previsto la necessità di sgomberare i paesi della linea, per cui fu improvvisata un’organizzazione che si preoccupò soprattutto dei problemi di ordine pubblico. “La gestione dell’assistenza ai profughi finì così per essere... un’amministrazione della miseria” (Malni P., Gli spostati. Profughi, Flüchtlinge, Uprchlíci 1914-19, Trento 2015, p. 93, testo a cui si è fatto riferimento anche per altri aspetti del profugato trentino).

Gli abitanti di Condino e Brione furono alloggiati provvisoriamente in soffitte o stalle di Storo e dei paesi vicini, dove passarono dalle due alle quattro settimane. Poi arrivò l’avviso che i camion militari li avrebbero portati “giù in Italia”, oltre i lago, anche oltre Brescia, dove con precisione nessuno seppe o volle dire. Affidarono le cose ingombranti e le bestie che avevano portato con sé nella fuga o abbandonato sui monti, pregarono Dio, la Madonna e i Santi e si consegnarono all’ignoto. Le carte dell’Archivio di Stato di Trento conservano l’elenco di 10 partenze di gruppi di 100 e più persone tra il 22 giugno e 10 luglio.

Una circolare del ministero dell’Interno, emanata a fine giugno del ‘15, raccomandò di tener conto delle attitudini di lavoro dei fuggiaschi nel decidere la destinazione e di collocarli preferibilmente in strutture collettive. La seconda diposizione non fu assecondata per questi profughi trentini che furono sparpagliati in paesi diversi, per la maggior in strutture private. Molti di loro tuttavia trovarono lavoro e così evitarono la fame.

Nel settembre del 1915 cinque condinesi, impiegati in uno iutificio ligure, inoltrarono istanza “per sapere la sorte dei loro averi ed in qual modo possano ricuperarli onde sopperire alle ristrettezze nelle quali si trovano, avendo lasciato abiti ed ogni altra derrata nelle loro case a Condino”. Le accorate domande parlano di olle di burro cotto, formaggi, botti di vino, pezze di lardo, sacchi di fagioli, farina, scorte di sale, molti quintali di fieno, galline, maiali e capretti. Tutto perduto!

I profughi rimasti in territorio austriaco partirono a mano a mano che le truppe italiane avanzavano. L’ordine di evacuazione fu perentorio, ma lasciò il tempo per portare via alcuni indumenti, alcune pentole, posate e piatti, qualche scorta alimentare, molti animali. Tutto il resto venne nascosto nelle cantine, i paioli furono sotterrati negli orti.

Il trasporto verso i paesi interni delle Giudicarie fu effettuato con carri militari che si inculcarono nella memoria dei bambini: “Ero seduto sulla sponda di un carro, e la mamma faceva dondolare una culla in cui riposava il mio fratellino di tre mesi, ricordo che percorrevamo una lunga strada bianca”, ricordò Rermigio Boldrini di Prezzo, destinato a Bocenago assieme a molti suoi compaesani.

“Mi è rimasto impresso il mio trasferimento a Strembo sul sedile di un carro militare austriaco, a fianco di un soldato che ogni tanto regalava a me ed a mia zia la sua porzione di biscotti. Ci avevano permesso di portare via pochissime cose, la biancheria, qualche pentola e stoviglie, ed il mio lettino; mia nonna a piedi, con la sua mucca, ci raggiunse il giorno dopo”, scrisse Ferdinando Romanelli di Creto.

“A casa - raccontò Dorinda Gnosini di Por, che fu profuga a Caderzone - avevamo tre vacche, vedo lì ancora la tavola piena di spresse e tre olle di burro cotto; dovevamo lasciare lì tutto e ce ne siamo portate via solo tre, quando la mamma è tornata per prendere le altre spresse non ha trovato più niente. Vedo ancora il carro carico della roba più necessaria, abbiamo portato con noi anche una vacca ed una capra, siccome io ero la più piccola mi hanno messo in una cesta con la capra, mia mamma ed i miei fratelli tutti a piedi”.

“Arrivai a Fiavè - scrisse il diciassettenne Giacobbe Bugna di Bersone -. Qui incontravo già molta gente del paese nativo che camminava in su e in giù accompagnati dalla commissione di collocamento che forzavano i proprietari a ristringersi e dare posto ai nuovi arrivati. C’era chi aveva compassione di noi profughi, ma purtroppo c’era i maligni e i senza cuore che ci odiavano e maltrattavano come se la colpa fosse nostra di dover entrare nelle sue case senza dimandarci noi”.

Per tutti i poveri profughi, come per le famiglie che le ospitarono, fu una storia di tre anni e mezzo di fame, dovuta all’enorme crisi economica del governo di Vienna per la progressiva diminuzione delle esportazioni di cereali dall’Ungheria. “Dal Comitato regionale di Trento tante promesse - scrisse il decano di Tione Donato Perli - ma miseri fatti. Tutti attendono l’arrivo del granoturco dall’Ungheria, ma intanto devono pararsi la fame per lo più con patate... I nostri contadini, tanto avvezzi alla comoda polenta, brontolano almeno quattro volte al dì colle loro donne incapaci di saziare l’appetito senza la polenta; per cui non si parla che di guerra e di polenta. La popolazione vive dei cosiddetti minestroni”.

Il 20 agosto 1917 il Capitanato distrettuale di Tione trasmise ai Comuni il dispaccio luogotenenziale del 9 agosto 1917 e ne chiese la pubblicazione dal pergamo: ai profughi anziani incapaci di lavorare e senza possibilità di avere sostegno erano assegnate, a partire dal 21 luglio 1917, 4 Corone al giorno; agli altri privi di mezzi 2 Corone.

L’intervento statale era buono se rapportato ai compensi di un manovale delle opere fortificatorie, che nella primavera del ‘15 riceveva 3,50-5 Corone al giorno. I Comuni però non avevano il denaro da distribuire. Lo aspettavano da Vienna, ma il Parlamento stava ancora discutendo la legge per la tutela dei profughi, di cui era relatore Alcide Degasperi, legge che fu approvata soltanto il 31 dicembre 1917 e pubblicata l’11 gennaio 1918. Confermò le sovvenzioni della Luogotenenza e stabilì che il rimborso degli arretrati dall’inizio dello sfollamento fino al 21 luglio del ‘17 fosse computato con una Corona a testa al giorno fino ad un massimo di 500 Corone (per alcuni profughi ci sarebbero stati da coprire 724 giorni). Così molte domande parlarono semplicemente di “sussidio delle 500 Corone”.

A guerra conclusa, il generale Pecori Giraldi, governatore della Venezia Tridentina, decretò che i sussidi dell’ex Impero austro-ungarico venissero mantenuti inalterati. In seguito però alla svalutazione della Corona del 60%, i sussidi furono liquidati in Lire al 40%. La gente disse così di essere stata redenta al 40%.

Tutti questi temi sono trattati ampiamente nel libro (170 pagine) e illustrati dalla mostra (25 pannelli) seguendo un ordine logico: La situazione economica (Quinto Antonelli), Il fronte in Giudicarie (Maddalena Pellizzari), Disertori, fuoriusciti e internati (Gianni Poletti), L’assistenza ai profughi (Gianni Poletti), I profughi di Condino e Brione (Gianni Poletti), L’evacuazione dei paesi della Valle del Chiese (Antonio Armani e Maddalena Pellizzari), I profughi in Rendena (Claudio Cominotti), I profughi nelle Esteriori (Cristian Malacarne), I profughi nella zona di Tione (Gianni Poletti), Il racconto di un’esperienza didattica all’Istituto Guetti (Renato Paoli). Concludono il libro alcuni grafici elaborati da Diego Salizzoni.