Ricerca sui Lodron

 

 

Profilo storico della famiglia Lodron

 

Introduzione all’edizione italiana del libro di Reinhard Baumann, “Anna Lodron - Biografia di una nobile nel tempo della Riforma”

 

La ricerca di Reinhard Baumann su Anna Lodron (1495 circa - 1556), sposata col condottiero Georg Frundsberg e poi col ministeriale Erasmus Schenken, una donna nobile vissuta nella Germania meridionale nei primi anni della Riforma luterana, ma discendente da una famiglia comitale trentina, mette in evidenza la complessità di una società che rispettava ancora le articolazioni del sistema feudale, rese complicate dalle contrapposizioni tra i seguaci della fede cattolico-romana e quelli della confessione evangelica. In questo intreccio Anna Lodron si destreggiò con abilità, e talora con sofferenza, assecondando le sue simpatie per le nuove dottrine e mantenendo - lealmente e realisticamente - una salda relazione con gli Asburgo, difensori delle posizioni cattoliche e committenti di importanti e remunerati servizi affidati ai Frundsberg.

Reinhard Baumann chiude la sua ricerca rammaricandosi che la figura di Anna sia poco conosciuta nei territori tedeschi in cui operò. Solo recentemente è stata riproposta grazie alle rievocazioni storiche delle feste del Frundsberg Festring che si svolgono ogni tre anni a Mindelheim (Svevia bavarese) in memoria del suo primo marito.

Lo stesso rammarico può essere espresso in parte anche per l’area linguistica italiana, dove la storia della famiglia di Anna, i Lodron, è stata esplorata solo a partire dagli ultimi anni dell’Ottocento, grazie a Giuseppe Papaleoni, e negli ultimi trent’anni, grazie agli studi, alle pubblicazioni e alle iniziative di divulgazione promosse dal Centro Studi Judicaria di Tione, dall’associazione Il Chiese di Storo e dal gruppo rievocativo Lanzi Lodron Valle del Chiese.

Recentemente sono stati approfonditi, sulla base di documenti non esaminati in precedenza, alcuni periodi particolari e alcuni personaggi. Per i primi ricordo soprattutto l’epoca che va dagli inizi del Trecento alla metà del Cinquecento e lo sviluppo della famiglia nel Novecento; per i secondi le nuove ricerche su Paride Lodron il Grande (morto nel 1439), sui capitani dei lanzichenecchi della prima metà del Cinquecento (Ludovico e Giovanni Battista in particolare) e su un altro “grande” Paride che fu principe arcivescovo di Salisburgo durante la Guerra dei Trent’anni. Questi testi in italiano sono quasi sempre monografici e riservano alla figura di Anna poche righe, spesso generiche. Del resto la storia dei Lodron, come la società in cui si svolse, fu una storia completamente maschilista; le donne vi compaiono solo come mogli negli alberi genealogici o, in alcuni casi, come monache che hanno raggiunto posizioni di governo e di un certo prestigio nella vita religiosa del loro tempo.

Gli studi recenti, tuttavia, non restituiscono un profilo storico generale della famiglia Lodron. Questo peraltro non si trova neppure nelle poche pubblicazioni che fiorirono attorno al 1850, in occasione del 500° anno dalla concessione del titolo comitale nel 1452, né nei 22 saggi che il citato Papaleoni dedicò a questo casato tra il 1887 e il 1942[1]. Di qui l’opportunità di pubblicare questa Presentazione che ha lo scopo di tracciare a grandi linee la vicenda storica dei Lodron dal secolo XII ad oggi e di segnalare i principali riferimenti bibliografici[2].

 

Nel tempio degli eroi tedeschi

 

Su una collina che domina il corso del Danubio, alle porte di Regensburg, sorge il Walhalla, il tempio degli eroi della nazione germanica che il re Ludovico I di Baviera fece costruire nella prima metà dell’Ottocento, imitando i templi dorici greci.

Erano gli anni in cui il regno bavarese, stretto tra il giovane e vivace espansionismo prussiano e la conservatrice diplomazia di Vienna, cercava una propria identità nazionale. Il re Ludovico la individuò nel collegamento tra le saghe dei Nibelunghi e la Grecia antica, indulgendo al mito dei poeti tedeschi che vedevano nei Germani i discendenti dei Dori.

All’interno del Walhalla sono collocate 130 statue e busti di personaggi che fecero la gloria della Germania. Il re volle avere nel suo pantheon almeno un personaggio paradigmatico di ogni settore della vita sociale. Per scegliere un rappresentante dei principi ecclesiastici, che tanta rilevanza avevano avuto nella storia tedesca, chiese allo storico Johannes von Müller chi fosse meritevole di un busto. Questa la risposta: “Paride Lodron, principe arcivescovo di Salisburgo dal 1619 al 1653, va ricordato come padre del suo popolo e statista della pace: egli non cedette mai agli interessi di parte durante la Guerra dei Trent’anni”[3].

Così il visitatore del Walhalla vede oggi il busto del Lodron collocato sulla parete di destra, tra un pittore fiammingo e un ammiraglio olandese, vicino all’imperatore Massimiliano I che la sua famiglia servì agli inizi del Cinquecento.

Il principe arcivescovo Paride fu, tra i Lodron, il personaggio che raggiunse il vertice più alto del potere. Eppure visse in un periodo complicato e difficile, quello della Guerra dei Trent’anni che sconvolse l’Europa centrale. Appena eletto, scrisse al padre Nicolò di Castelnuovo (Val Lagarina) che tutta la Germania era in estremo pericolo e gli chiese di procuragli tramite il conte Gerolamo di Concesio, detto Barbarubra, 500 moschetti. Riuscì tuttavia a risparmiare al suo principato i disordini del conflitto[4].

Nei 34 anni del suo governo diede un enorme contributo alla fisionomia attuale della città di Salisburgo, completando le opere iniziate dai suoi predecessori e avviandone di nuove. Oggi a ricordarlo non sono solo gli stemmi di famiglia scolpiti sui portali d’ingresso della Fortezza e sul fronte del duomo o l’ampia e moderna Paris Lodron Strasse che taglia il quartiere sulla destra della Salzach, tra il Kapuzinerberg e il fiume, un’area paludosa che Paride fece bonificare e urbanizzare dalla milizia territoriale (gli storici la denominarono Lodron-Stadt). Egli, tra l’altro, fece anche abbellire l’antica Residenza, istituì l’Università, fondò il convento di Nonnberg e portò a termine il duomo che riconsacrò il 28 settembre 1628[5].

 

Le origini: teorie fantasiose ed evidenze storiche

 

Quando nel novembre del 1619 l’elezione di Paride Lodron venne annunciata alla popolazione del principato e alle corti europee, parecchi sudditi e molti sovrani si chiesero quali fossero le sue origini. Probabilmente nessuno seppe dire che una contessa della sua famiglia, Anna del ramo di castel Lodrone, era stata la moglie del condottiero Georg Frundsberg, che quasi un secolo prima, nell’estate del 1525, aveva soccorso il principato di Salisburgo durante la Guerra dei contadini.

Si domandarono da dove venisse anche i Benedettini del Liceo della città, che escogitarono una trovata che piegò la storia a loro vantaggio. In pochi mesi composero un panegirico di 250 pagine che esaltava le virtù della famiglia Lodron e ne affermava la discendenza dalla Gens romana dei Laterano. Nel 1621 lo stamparono dedicandolo al nuovo arcivescovo. I monaci raggiunsero così il loro obiettivo: l’anno dopo Paride trasformò il Liceo nell’Università che ancora oggi porta il suo nome[6].

Questa genealogia impossibile era stata sostenuta cinquant’anni prima dall’erudito Giovanni Battista Nazari, autore di un opuscolo pubblicato a Brescia nel 1572[7]. Sarà ripresa ancora a Brescia, verso la fine del Seicento, dal sacerdote Bartolomeo Corsetti, originario di Val Vestino, alunno del seminario lodroniano di Salò, che dedicò il suo lavoro al preposito di Trento Carlo Ferdinando Lodron[8].

I fantasiosi genealogisti raccontano che nel 71 dopo Cristo l’imperatore Nerone fece uccidere a Roma il console Plozio Laterano, esponente di una famiglia patrizia di prim’ordine. I figli di Plozio abbandonarono allora la città e si rifugiarono in Valle del Chiese, nell’attuale Trentino sud-occidentale, dove nei primi secoli del secondo millennio sorsero le rocche di Lodrone, castel Romano e Bondone, fulcri della signoria lodroniana che da sempre comprese anche la Val Vestino.

In effetti, i Lodron cominciarono a portare con qualche legittimità il titolo Laterano solamente dal 1712, quando le autorità che attestavano le discendenze nobiliari riconobbero la loro origine romana. Il titolo entrò così anche nei repertori della nobiltà dell’Impero tedesco.

Sulla discendenza romana si basano alcuni alberi genealogici della famiglia che si innalzano dalla basilica di S. Giovanni in Laterano, mentre altri - più realisticamente - affondano le radici nei castelli della Valle del Chiese.

La storia non si può costruire, si può solo ricostruire. La discendenza romana dei Lodron è un frutto di cortigiana fantasia maturato in epoca barocca con un’operazione simile - in dimensioni più ridotte - a quella compiuta per i Romani da Virgilio, che fece derivare dai fuggiaschi Troiani i pastori che abitavano alle foci del Tevere.

In verità, l’opera dei Benedettini di Salisburgo riporta testimonianze che attesterebbero la presenza dei Laterano in quel di Brescia nel I e II secolo dopo Cristo, ma non riesce assolutamente a spiegare il buco millenario che va dall’epoca neroniana al 1185, anno a cui risale la prima testimonianza documentale relativa a un personaggio della famiglia Lodron.

Stando ai documenti, le origini dei Lodron furono umili. Si collocano nel Trentino sud-occidentale, nella piana e sui monti a nord del lago d’Idro. La loro prima storia si intrecciò con quella dei signori di Storo, coi quali condivisero parentele e appartenenza alla piccola nobiltà del principato vescovile di Trento. Si trattava forse di discendenti di una stirpe che si era insediata in zona durante l’epoca longobarda o carolingia, alla quale erano state affidate la vigilanza sulle strade e la guida di altri guerrieri al servizio del sovrano[9].

Non essendo accertato il Silvestro Lodron che la tradizione popolare vuole al fianco di Goffredo di Buglione nella Crociata del 1095-1099, il primo personaggio storico della famiglia è il “Calapino de Ludron” citato in un documento del Codex Wangianus del 27 agosto 1185 come feudatario dei conti di Appiano (presso Bolzano). Con quest’atto Enrico cedette al principe vescovo di Trento le sue proprietà delle Giudicarie, facendo eccezione tra l’altro per quelle da lui date in feudo a Calapino[10].

Quattro anni dopo, nel 1189, il vescovo Corrado di Beseno investì del castello di Lodrone tredici “viri illustres” di Storo, che subentrarono a Calapino, divenendo gli antenati della nobile famiglia. Perciò alcuni storici parlarono di famiglia Storo-Lodron[11].

I Lodron approfittarono della posizione delle loro terre, situate sul confine tra l’Impero e i territori di Milano e Venezia, e delle lotte che il principe vescovo di Trento (di cui furono formalmente sempre vassalli dal secolo XIII in poi) ebbe con i conti del Tirolo, i Visconti, gli Scaligeri e la Repubblica di San Marco. Raggiunsero così progressiva potenza, contendendo prima la Valle del Chiese ai Mettifoco, originari di Val Camonica, ai signori d’Arco e Campo, e tentando contemporaneamente di circoscrivere l’autonomia delle comunità locali, fondate sulla proprietà collettiva del territorio. Fin dai primi anni del Trecento ebbero anche diritti e feudi in Rendena.

Alcuni secoli dopo, quando i conti Lodron non potevano esibire - assieme al diploma comitale imperiale del 1452 - un passato antico e glorioso, i cortigiani inventarono il fantasioso racconto dei Laterano. In barba alla storia[12].

L’uscita dei Lodron dalla Valle del Chiese e il salto sulla scena politica italiana avvenne nei primi decenni del Trecento con Paride detto il Grande.

Muovendo dalle roccaforti di castel Lodrone e castel Romano, egli entrò nel mercato della guerra e si schierò col migliore offerente, che non fu sempre il principe vescovo di Trento, suo signore territoriale. In particolare, mettendosi al servizio di Venezia, che combattendo contro Milano mirava ad estendere il dominio in Lombardia e nelle valli meridionali del Trentino, fece uscire la sua famiglia dalla culla nel Trentino sud-occidentale e pose le premesse per i successivi sviluppi. Paride fu il capostipite di tutti i Lodron nati dopo la metà del Quattrocento[13].

La guerra tra Venezia e Milano si concluse solo nel 1454 con la pace di Lodi, che confermò l’estensione dei territori di Venezia fino all’Adda e al Caffaro e il possesso veneto della parte settentrionale del lago di Garda, di Rovereto e della bassa Val Lagarina.

Prima però di questa pace, arrivarono per i figli di Paride le ricompense veneziane, che consolidarono la presenza lodroniana in territorio bresciano. L’11 aprile 1441 il doge Francesco Foscari concesse a Giorgio e Pietro Lodron quanto promesso al padre. In gran parte furono beni di carattere allodiale, liberi quindi dai vincoli feudali che gravavano sugli antichi benefici, per i quali i Lodron dovevano regolarmente chiedere il rinnovo delle investiture al principe vescovo di Trento e al conte del Tirolo e duca d’Austria. Si trattava di Bagolino, di alcuni possedimenti di ribelli a Venezia, comprendenti il castello di Cimbergo in Val Camonica con la sua contea, alcune proprietà nel territorio di Concesio, alle porte di Brescia, il villaggio di Muslone sul Garda, una casa a Padova[14].

Quattro anni dopo la concessione del diploma comitale a Roma (6 aprile 1452), i fratelli Giorgio e Pietro Lodron, che nel frattempo erano stati nominati capitani vescovili delle Giudicarie ulteriori (“ultra Duronum et saxa Stenici”), misero piede in Val Lagarina, insediandosi di fronte a Rovereto. Infatti, nel febbraio del 1456 espugnarono, per conto del principe vescovo, le rocche di Castelcorno, Castellano, Castelnuovo e Nomi, e fecero prigioniero Giovanni di Guglielmo Castelbarco, infedele feudatario vescovile. Due mesi dopo il vescovo dichiarò il Castelbarco decaduto per fellonia e investì Giorgio e Pietro dei feudi di Castelnuovo e Castellano, tenendo per sé Castelcorno e Nomi, che i Lodron poi tenteranno inutilmente di occupare[15].

Dopo l’approdo in Val Lagarina, la casa Lodron si divise in due rami: i figli di Giorgio di castel Lodrone (Francesco, Paride detto Parisotto, Bernardino) ottennero i feudi antichi della Valle del Chiese meridionale e i territori bresciani, mentre il loro zio Pietro e i suoi figli Martino e Paride ebbero quelli settentrionali della Valle del Chiese con castel Romano e i nuovi territori lagarini.

Il primo ramo si sviluppò in tre linee ereditarie, due delle quali (quelle di Parisotto e Bernardino) si estinsero nel corso di poche generazioni. Restò quella di Francesco che assorbì i diritti e le proprietà delle altre due e dalla quale si formarono le linee di Valle del Chiese/Concesio e Valle del Chiese/Trento (da quest’ultima si formarono nella prima metà del Seicento anche una linea bavarese e una boema). Il ramo di Pietro, invece, si divise a sua volta in due: il figlio Martino restò in Giudicarie, mentre ai discendenti dell’altro maschio toccarono i feudi della Val Lagarina, distinti successivamente nelle linee di Castellano e di Castelnuovo. La discendenza di Castellano si esaurì agli inizi del Seicento e il suo feudo passò ai parenti di Castelnuovo, dai quali uscì l’arcivescovo Paride.

 

Da Venezia all’Impero

 

Nella seconda metà del Quattrocento i Lodron incominciarono a cullare un progetto politico ambizioso da realizzare in alleanza con Venezia: creare una signoria familiare sulle quattro Pievi ulteriori delle Giudicarie (Condino, Bono, Tione e Rendena, di cui erano capitani vescovili), alle quali avrebbero potuto aggiungersi nell’Alto Garda, a seconda delle fortune della Serenissima e loro, i territori dei d’Arco, contrari a Venezia, in modo da avere una continuità tra i feudi antichi della Valle del Chiese e della Val Vestino, le proprietà ottenute in Val Camonica e nel Bresciano e le più recenti acquisizioni della Val Lagarina. Ne sarebbe venuta una fascia di territorio che sarebbe andata dalle pendici della Presolana a quelle del Pasubio.

L’occasione più ghiotta per realizzare l’ardito progetto si presentò con la Guerra Veneto-Tirolese del 1487, che fu decisa dalla sconfitta veneziana di Calliano del 10 agosto. Fu una batosta per i Lodron, che persero il capitanato vescovile delle Giudicarie ulteriori e dovettero riconsegnare le terre occupate nei primi giorni del conflitto.

Tramontò così il loro temerario piano. Se si fosse realizzato, sarebbe stato diverso lo sviluppo della famiglia Lodron, ma sarebbe corsa lungo binari del tutto differenti da quelli che in effetti seguì anche la successiva storia dell’attuale Trentino meridionale e di almeno una parte della provincia bresciana.

L’esito della guerra del 1487 portò a un raffreddamento dei rapporti tra Venezia e i conti, i quali cominciarono a guardare più verso il Nord che verso la Laguna, avvicinandosi nel giro di un ventennio alle posizioni dell’Impero e aderendo definitivamente alla politica asburgica nel corso della guerra dell’imperatore contro Venezia del 1508-16. In quegli anni i Lodron più vivaci furono i conti della linea di castel Lodrone, figli del conte Giorgio: Francesco, Parisotto (padre di Anna), Bernardino e l’illegittimo Marco di Caderzone. Le successive imprese militari videro protagonisti anche due figli di Francesco, Antonio e Giovanni Battista, e due fratelli di Anna, Sebastiano e Ludovico, che si distinsero come capitani dei lanzichenecchi imperiali. I capitani Lodron arruolarono mercenari lanzichenecchi anche tra gli uomini della loro contea e dei paesi e delle valli vicine. Lo documentano, ad esempio, la vicenda di Francesco Serafini di Storo, detto Spadaccino, fedelissimo di Parisotto, e la presenza di lanzichenecchi nell’iconografia locale[16].

 “Se non è possibile crearci uno Stato nostro, saltiamo sul carro del vincitore”, si dissero i Lodron. Alcune note del cronista veneziano Marin Sanudo attestano che il passaggio all’Impero avvenne in modo graduale e differenziato; fu più rapido nei conti della Valle del Chiese che in quelli della Val Lagarina. Il nuovo atteggiamento nei confronti di Venezia non venne condiviso dal conte Bernardino di Lodrone, che aveva sposato Polissena Colleoni, figlia del grande condottiero veneziano[17].

Il passaggio al servizio dell’Impero si può considerare concluso nel 1509, quando Venezia tolse ai conti la provvigione annuale di cui godevano sino dai tempi di Paride il Grande. Quarant’anni dopo l’ambasciatore veneto a Vienna mise in guardia dai Lodron il Consiglio dei Dieci: erano - scrisse - italiani a metà, “mezzo servitori cortigiani del re [...] mezzo tedeschi e mezzo italiani”[18].

Va notato in parentesi che alla fine del Quattrocento il prestigio dei Lodron era tale che la figura di un Paride Lodron, attraverso le novelle del vicentino Luigi Da Porto (1485-1529) e del lombardo Matteo Bandello (1485-1561), arrivò fino a Shakespeare e divenne il promesso sposo di Giulietta Capuleti[19].

 

La famiglia di Anna

 

Ho già detto che nelle vicende lodroniane di fine Quattrocento e inizi del Cinquecento ebbe un ruolo determinante il padre di Anna, cioè il conte Parisotto di castel Lodrone, che nel maggio del 1484 sposò la bergamasca Maria, figlia del conte Bartolomeo di Brembate.

Nel 1474, seguendo le orme del nonno Paride il Grande e del padre Giorgio, stimatissimi condottieri al servizio di San Marco, Parisotto, col consenso dei veneziani e la collaborazione del fratellastro Marco di Caderzone, ordì una congiura per impadronirsi dei castelli di Tenno e di Castelcorno. In seguito combatté nel territorio tra Milano e Venezia, spendendosi soprattutto nella Guerra di Ferrara (1482), nella Guerra Veneto-Tirolese (1487) e nella battaglia di Fornovo contro il re francese Carlo VIII (1495), la cui fallimentare discesa nella penisola italiana inaugurò una serie di guerre che Machiavelli definì “orrende”.

Nel marzo del 1484 Parisotto, accompagnato da una “schiera di homeni selvadegi e per modo de dire de diavoli de inferno[20], guidati dal citato Spadaccino, uccise a Bergamo il ricco giurista Antonio Bonghi, esecutore testamentario del Colleoni e nemico della famiglia Brembate. Venezia decretò contro di lui il bando perpetuo dalla terre della Repubblica e stabilì una taglia per chi lo avesse preso e consegnato vivo o morto. Ma per San Marco era un alleato troppo importante il Lodron, che visse indisturbato nelle sue terre, arrivando nel 1486 persino ad assumere la carica di capitano delle Giudicarie ulteriori. Tali erano i costumi dell’epoca: “un condannato per omicidio e ricercato amministrava la giustizia di un’intera valle, su incarico del vescovo”[21].

Parisotto lasciò i suoi castelli quando scoppiò la guerra del 1487, perché Venezia ebbe di nuovo bisogno di lui[22]. All’indomani della sconfitta di Calliano, egli tramò nuovamente per ampliare e consolidare per altre vie la signoria della sua famiglia. Lo fece nuovamente col fratellastro Marco di Caderzone, che, pur essendo al bando del principato vescovile, viveva tranquillamente in Rendena e continuava a riempire le cronache giudiziarie della valle.

Nell’estate del 1488, per realizzare i progetti dei parenti, Marco mise in atto una congiura diretta a liberare le Giudicarie e le Valli del Noce dall’autorità vescovile e consegnarle ai Lodron, ma fu catturato dal massaro di Stenico e giustiziato a fine maggio del 1490, sulla piazza del duomo, a Trento, davanti al popolo[23].

Nove furono i figli di Parisotto Lodron e Maria di Brembate, quattro femmine e cinque maschi, nati negli ultimi quindici anni del Quattrocento. Le figlie sono Anna, sposata in prime nozze con il condottiero Georg Frundsberg e in seconde con il ministeriale Erasmus Schenk; Berenice, sposata con l’umanista Benedetto Bordoni detto Scaligero; Giulia, sposata con Alessandro d’Arco (sono i genitori della poetessa Dina d’Arco); Ginevra, sposata con Giovanni Martinengo. I maschi sono Giuliano, che sposò Apollonia Lang; Sebastiano, sposato con Damisella (o Domitilla) Griffoni di S. Angelo (il loro figlio Sigismondo ebbe compiti importanti nelle corti europee e fu in contatto con Anna); Daniele, che si fece monaco benedettino; Ludovico, che sposò Orsola Cles; Alessandro, che sposò una figlia di Nicolò Morganti di Trento.

A sollecitare l’orientamento dei Lodron di castel Lodrone per l’Impero fu forse anche il vescovo di Gurk (Carinzia), Matthäus Lang, segretario e consigliere dell’imperatore Massimiliano, che incontrarono nel 1503 in occasione delle nozze della sorella del Lang, Apollonia, con Giuliano Lodron. La loro scelta di campo fu poi sostenuta da Bernardo Cles, dal 1514 principe vescovo di Trento e poi anche lui consigliere dell’imperatore.

Giuliano morì nel 1510, durante la guerra tra Venezia e l’Impero. Nello stesso anno morì anche un altro fratello di Anna, Alessandro. Il loro padre Parisotto era morto due anni prima, nel 1508[24].

Al contratto del primo matrimonio di Anna Lodron, concluso il 14 novembre 1519, furono presenti due fratelli della sposa, Sebastiano e Ludovico. Sebastiano morì nel 1527[25]. Ludovico partecipò alla battaglia di Pavia del 1525; nello stesso anno comandò la repressione della Guerra Rustica nel principato di Trento; nel 1526 seguì la spedizione del cognato Georg Frundsberg in Italia guidando - assieme al cugino Antonio - l’esercito imperiale nella traversata delle Alpi; il 5 giugno del 1527 sottoscrisse la resa del papa dopo il Sacco di Roma assieme a 9 cardinali, 4 vescovi e altri 20 capitani imperiali. È documentata la sua presenza a Mindelheim, presso la sorella Anna, anche nel 1533 quando fu testimone al contratto del suo secondo matrimonio con Erasmus Schenk e a quello per l’eredità della figlia di lei, Siguna. Nel 1536 sposò Ursula Cles, nipote del vescovo di Trento Bernardo Cles. Nell’ottobre dell’anno dopo morì combattendo contro i Turchi, senza vedere il figlio Lucio Fortunato Massimiliano che era appena nato[26].

Del quinto fratello di Anna, il monaco Daniele, parlano solamente gli alberi genealogici della famiglia. Lo stesso dicasi per la mamma, Maria di Brembate.

Tra i Lodron del Cinquecento che furono capitani dei lanzichenecchi imperiali, merita un accenno particolare un cugino di Anna e Ludovico, Giovanni Battista, che divenne colonnello del ducato di Milano ed acquisì i feudi del Monferrato della prima moglie Violante Malaspina, diventando il capostipite della linea lodroniana del Piemonte, estintasi a metà del Seicento[27].

 

Nel mondo tedesco

 

Nel Cinquecento, col passaggio dei Lodron al servizio militare dell’Impero, divenne più assidua anche la loro frequentazione delle corti di Innsbruck e Vienna. Fu un fenomeno comune alle altre nobili famiglie trentine: lo imponevano, oltre ai contraccolpi della politica veneziana e alle limitate prospettive offerte dalle istituzioni locali, sentimenti mai dimenticati di servizio cavalleresco al sovrano e professioni ritenute per tradizione degne di venire intraprese dagli uomini del casato[28].

Il progressivo intensificarsi dei legami politici, economici e culturali col Nord asburgico si manifestò gradualmente nell’uso sempre più prevalente della lingua tedesca, nel tenore di alcune espressioni dei documenti di famiglia, nella presenza di rituali di ascendenza germanica nelle transazioni e nei testamenti. Si manifestò, inoltre, nelle scelte matrimoniali. Se nelle generazioni Lodron della prima metà del Quattrocento prevalsero i matrimoni con famiglie della nobiltà italiana (come i Nogarola, Martinengo, Avogadro, Pallavicino, Stampa, Colleoni, Brembate, Collalto, Cappa, Ormanetti, Pellegrini, Miniscalchi ed altri), nelle generazioni successive furono prevalenti le scelte fatte nel territorio del principato vescovile di Trento e in altri territori tirolesi e tedeschi (come i Cles, Spor, d’Arco, Castellalto, Terlago, Calepini, Madruzzo, Thun, Vanga, Niederthor, Welsberg, Frundsberg, Roggendorf, Lamberg, Schneeberg, Bertha, Fugger, Lichtenstein, Dietrichstein, Lang, Hohenlohe, Kuhen-Belasi ed altri).

In questo contesto si sviluppò anche la ricerca di benefici ecclesiastici nelle terre imperiali. Tra il Cinquecento e il Settecento i Lodron ebbero dodici canonicati a Trento, sei a Bressanone e sette a Salisburgo, oltre a qualche incarico più isolato a Innsbruck, Passau, Regensburg, Augsburg, Mainz e Liegi. E dal canonicato alla sede vescovile il passo fu in seguito assai breve: quattro Lodron tra il 1519 e il 1786 furono nominati principi vescovi in terre tedesche, rispettivamente a Salisburgo, Gurk in Carinzia (con due fratelli) e Bressanone.

Così, attraverso il cavallo di Troia delle relazioni con gli Asburgo, gli interessi lodroniani si spostarono definitivamente oltre le Alpi[29]. I possedimenti italiani furono progressivamente marginalizzati ed in essi rimasero soltanto personaggi di secondo piano, il cui potere fu di fatto inferiore a quello dei loro amministratori.

A rafforzare questo sviluppo furono nel Seicento soprattutto gli istituti del maggiorascato di primogenitura e di secondogenitura fondati nel 1631 e nel 1653 dal principe arcivescovo di Salisburgo, Paride Lodron, rispettivamente con 15.000 e quasi 3.000 ettari di terreno produttivo. All’inizio ebbero le loro sedi nella città di Salisburgo[30], ma poi furono spostate in Carinzia, rispettivamente a Gmünd e Himmelberg, al centro del loro patrimonio. L’arcivescovo li destinò al primo e secondogenito di suo fratello Cristoforo, ma nel corso del Settecento le loro discendenze si estinsero, per cui subentrarono nella titolarità dei due patrimoni esponenti delle linee della Baviera, di Valle del Chiese/Concesio e di Valle del Chiese/Trento.

Quando all’inizio dell’Ottocento tramontò il contesto feudale e fu abolita la giurisdizione signorile, alcuni conti riuscirono ad adattarsi al nuovo corso dei tempi e, anche nel Novecento, li ritroviamo in posizioni di sicurezza economica a fianco dell’alta società. Altri, invece, si accomiatarono malinconicamente dalla storia, in silenzio e nell’anonimato. Ciò accadde in particolare per i Lodron che per ultimi abitarono i palazzi della Val del Chiese, dove tra Medioevo e Rinascimento il potere della famiglia si era lentamente formato, legittimato e consolidato. Gli ultimi Lodron della Valle del Chiese furono il conte Carlo (Carletto), governatore della Carinzia prima della Grande Guerra, che morì nel palazzo del Caffaro nel 1938, e i parenti del vicino palazzo Bavaria: Filiberta, Urbano, Diego, Adriana, Gastone e Dalila, morti tra il 1932 e il 1967[31].

Il maggiorascato di primogenitura, con sede a Gmünd in Carinzia, fu sciolto nel 1932, travolto dalle ripercussioni della crisi del 1929 e dall’inettitudine degli ultimi titolari che abbandonarono il patrimonio all’arbitrio degli amministratori; l’ultimo signore fu il già citato conte Urbano di palazzo Bavaria. Quello di secondogenitura, con sede a Himmelberg in Carinzia, toccò dopo un paio di passaggi ai discendenti della linea di Concesio, che ne sono ancora titolari. Oggi in Italia non vivono più discendenti diretti dei Lodron. Ne troviamo invece in Austria.

 



[1] Tali studi sono ora raccolti in Giuseppe Papaleoni, Tutte le opere, 3, I Lodron, a cura di Gianni Poletti, Il Chiese, Storo 1994.

 

[2] Io ho steso un primo profilo storico generale della famiglia Lodron in Aa. Vv., Sulle tracce dei Lodron, Centro Studi Judicaria, Tione di Trento 1999, 27-64, ma oggi avrebbe bisogno di parecchie integrazioni. Un racconto in forma divulgativa si trova anche in Gianni Poletti, La Saga dei Lodron, Il Chiese, Storo 2012, dove la vicenda lodroniana viene dipanata attraverso la presentazione di 42 medaglioni di personaggi o eventi particolari.

 

[3] La risposta di Müller è riportata in Costant von Wurzbach, Biografisches Lexikon des Kaiserthums Österreich, Verlag der Universitäts-Buchdruckerei, Wien 1866, vol. XV, voce Lodron, 369-384. Per la vita e l’opera dell’arcivescovo Paride Lodron rimando alle due fondamentali biografie di Karl Johannes Grauer, Paris Lodron, Erzbischof von Salzburg. Ein Staatsmann des Friedens, Verlag Das Bergland-Buch, Salzburg 1953, e di Reinhard Rudolf Heinisch, Paris Graf Lodron - Reichfürst und Erzbischof von Salzburg, Amalthea Verlag, Wien - München 1991 (edizione italiana Paride Lodron, principe e arcivescovo di Salisburgo, traduzione di Pier Egilberto De Zordo, Editrice Longo - Centro Studi Judicaria, Rovereto - Tione di Trento 1999).

 

[4] La lettera dell’arcivescovo al padre è del 26 dicembre 1619. È riportata in Roberto Adami, Paris familiaris. 170 lettere di Paride Lodron al padre e ai familiari (1608-1653), Nicolodi Editore, Rovereto 2004, 137-139.

 

[5] Per la sua attività urbanistica, oltre alle due biografie della nota 3, si veda anche Aa. Vv., Guida ai luoghi Lodron (Italia - Austria - Baviera), Il Chiese, Storo 2002, 76-101.

 

[6] Cf. Benedettini di Salisburgo, Leo Lateranus Gentis Lodroniae aeternum decus Paridi Laterano Principi atque Archiepiscopo Salisburgensi etc. devotus, dicatus a P.P. ordinis S. Benedicti in Illustrissimae suae Celsitudinis Lyceo Professoribus, Salisburgo 1621.

 

[7] Giovanni Battista Nazari, Discorso intorno l’antica et illustrissima Casa Lateranense, hor detta Lodronesca, Brescia 1572; ristampato da Giovanni Battista Monauni, Trento 1730.

 

[8] Bartolomeo Corsetti, Lodronii Leonis vetustatis ac virtutis inclytae monimenta, Carolo Antonio Lucciago, Brescia, 1683.

 

[9] Si veda Giuseppe Papaleoni, Per la genealogia degli antichi signori di Storo e di Lodrone, in Alto Adige, anno IV, n. 139 (2 dicembre 1889) e n. 140 (4 dicembre 1889), ora in Giuseppe Papaleoni, Tutte le opere, 95-107.

 

[10] Rudolf Kink, Codex Wangianus, Vienna, 1852, documento n. 24, 64-66. Della partecipazione di Silvestro alla Prima Crociata riferì nel secolo XVIII lo storico Gnesotti, che parlò di “costante tradizione”; in quell’occasione un gruppo di improvvisati soldati di Bagolino avrebbero riportato in patria la cosiddetta Madonna di San Luca, ancor oggi veneratissima in paese. Cf. Cipriano Gnesotti, Memorie per servire alla storia delle Giudicarie, Trento, Monauni, 1786; ora in edizione integrale e con note in Memorie delle Giudicarie, Il Chiese, Storo 2012, 107. Per le leggende sui Lodron che nel corso dei secoli si diffusero tra la gente si veda C’era una volta un conte. Venti leggende e racconti della Valle del Chiese illustrati dai bambini, a cura di Gianni Poletti, Storo 2010.

 

[11] Così fa ad esempio Karl Ausserer, Die Herrschaft Lodron im Mittelalter, bis sum Untergange der älterer Linie von Castelromano, in Jahrbuch del K. K. Herald. Gesellschaft Adler, vol. XV, Wien 1905 (edizione italiana con note e documenti La signoria dei Lodron nel medioevo, a cura di Gianni Poletti, Il Chiese, Storo 1991, 26-34). L’investitura del 1189 sta in Kink, Codex Wangianus, documento n. 34, 88-92.

 

[12] Il diploma comitale del 1452, conservato all’Archivio di Stato di Vienna, manoscritto Böhm 454, vol. IV, fol. 514/19, sotto il titolo Genealogia di Casa Lodrone, è riportato, nel testo latino originale e in traduzione, in Ausserer, La signoria, 148-151. Ausserer racconta anche le ultime vicende del ramo antico di Castel Romano, formatosi con la divisione del 1361 ed estintosi alla metà del Quattrocento. Per la storia dei Lodron dal 1185 fino alla metà del secolo XVI si vedano anche Gianni Poletti, Dalle Crociate alla secolarizzazione. Profilo storico della famiglia Lodron, nel già citato Sulle tracce dei Lodron, 27-64; Id., I Lodron nel contesto italiano e imperiale del XV-XVI secolo, in Gianni Poletti - Roberto Codroico - Franca Barbacovi, Ludovico l’eroe, Centro Studi Judicaria, Tione di Trento 2011, 11-104.

 

[13] Le genealogie attribuiscono a Paride una sola moglie, la veronese Lucia Nogarola, ma nel 2014 è stata scoperta nella chiesa di Lodrone la tomba di una moglie di Paride di nome Maria, morta nel 1422. Le soluzioni possibili sono due: o Paride si sposò una sola volta e la moglie si chiamava Maria Lucia, che morì prematuramente, oppure ebbe due mogli, prima una Maria e poi la Lucia Nogarola. Nel secondo caso da quale famiglia proveniva Maria? Alcune fonti citano come moglie di Paride una Marsilia Alberghini, appartenente a una famiglia di Valle Sabbia. Il nome Marsilia potrebbe essere stato abbreviato in Maria.

 

[14] Il documento è pubblicato in Guido Lonati, Di una controversia tra i conti di Lodrone ed il Comune di Tignale, in “Commentari dell’Ateneo di Brescia”, 1932, 107-109. Un originale delle concessioni veneziane stava nell’Archivio Lodron di Gmünd, oggi a Klagenfurt; un’altra copia è conservata nell’Archivio Comunale di Bagolino.

 

[15] Per le vicende dei Lodron in Val Lagarina si vedano in particolare Quintilio Perini, La famiglia Lodron di Castellano e Castelnuovo, in “Atti dell’Accademia degli Agiati”, 1909, 45-98, e Morena Bertoldi, Proclami dei Lodron per i feudi lagarini (secoli XVI-XVIII). Elaborazione statutaria ed esercizio della giurisdizione, in “Passato Presente”, n. 32, Il Chiese, Storo 1998.

 

[16] Si veda Gianni Poletti, Italiani a metà. Dalla Valle del Chiese alle terre tedesche. La famiglia Lodron dagli inizi del ‘400 alla metà del ‘500, Storo 2017, 13s., 50, 61-63, 115; per Spadaccino si veda in particolare 61ss.

 

[17] Marin Sanudo, Diari (1496-1533), Venezia 1879-1903.

 

[18] Eugenio Albèri, Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, Società editrice fiorentina, serie I, vol. I, Firenze 1839, 464.

 

[19] Cf. Giuseppe Papaleoni, Figure trentine nei novellieri italiani, in “Studi Trentini di Scienze Storiche”, 1942, 103-125, parzialmente ristampato in Papaleoni, Tutte le opere, 299-310; Gianni Poletti, Il gentiluono. Un conte Lodron promesso sposo di Giulietta, in La saga, 74-78.

 

[20] Così scrisse il coevo bresciano Jacopo Melga, la cui Cronaca fu pubblicata in Paolo Guerrini, Fonti per la storia bresciana, vol. I, Brescia 1922.

 

[21] Così commentò Giuseppe Papaleoni richiamandosi ai Registri dei malefici del notaio Guglielmo fu Enrico di Bono (Bleggio), funzionario incaricato di raccogliere tutte le denunce dei reati commessi nella Pieve di Bono ed in quella di Condino; sono conservati nell’Archivio di Stato di Trento; la loro trascrizione, fatta da F. Bianchini, è depositata presso il Centro Studi Judicaria di Tione, collana Antiche carte delle Giudicarie, voll. I e II.

 

[22] In Cesare Ravanelli, Un bandito trentino del secolo XV, in “Archivio trentino”, anno XIV, fasc. 2, Trento 1899, 252-265 sono riportati otto documenti veneziani concernenti la trattativa per coinvolgere Paride nella guerra del 1487.

 

[23] Per Marco di Caderzone si veda Giuseppe Papaleoni, La giustizia penale e la delinquenza nelle Giudicarie ulteriori alla fine del medio evo, in “Studi Trentini di Scienze Storiche”, anno XIX, 1938, 157-167, ristampato in Giuseppe Papaleoni, Tutte le opere, Marco di Caderzone e i suoi figli, 219-230.

 

[24] Per i riferimenti documentali si veda Poletti, Italiani a metà, in particolare 92-93. Parisotto è detto morto in un atto dell’8 gennaio 1509 (pergamena n. 74 dell’Archivio Comunale di Storo).

 

[25] Così scrivono alcuni autori, sebbene non indichino documentazione di appoggio. In effetti, dopo quell’anno, nei documenti si incontra solo come morto. Cf. Poletti, Italiani a metà, 135s.

 

[26] Per le vicende di Ludovico cf. - Codroico - Barbacovi, Ludovico l’eroe, ove si trovano i regesti e le trascrizioni di documenti trentini dell’epoca. Si veda anche il testo di Alois Moriggl, Leben und Heldentod des Grafen Ludwig von Lodron, Wagnerische Buchdruckerei, Innsbruck 1863 (edizione italiana Ludovico Lodron, l’eroe di famiglia protagonista nella storia del Cinquecento, traduzione e cura di Gianni Poletti, in Passato Presente, n. 58, Il Chiese, Storo 2011).

 

[27] Cf. Poletti, Italiani a metà, 168-171.

 

[28] Cf. Marco Bellabarba, Un principato alla frontiera dell’impero tra XV e XVI secolo, in Imago lignea: sculture lignee nel Trentino dal XIII al XVI secolo, editrice Temi, Trento 1989, 23-29.

 

[29] Si veda l’efficace sintesi di Gian Maria Varanini, Alcune riflessioni sulla storia dei Lodron, in Sulle tracce dei Lodron, 17-24.

 

[30] La vicinanza dell’abitazione della famiglia Mozart e della sede del maggiorascato di primogenitura a Salisburgo favorì i rapporti con il giovane Amadeus, che impartì lezioni di pianoforte a due contessine e alla loro madre. Nel 1776 il giovane prodigio compose per le sue alunne il “Concerto in Fa maggiore per tre pianoforti” (KV 242). In questo clima di rapporti nacquero anche le due “Lodronische Nachtmusiken” (KV 247 e KV 287), dedicate alla contessa Antonia Lodron.

 

[31] Per la storia più recente dei Lodron si vedano Margareth Miklautz, I Lodron del Novecento, introduzione e traduzione di Gianni Poletti, Il Chiese, Storo 2001, e Poletti, La saga, 168-183.