Andreas Hofer, Garibaldi e gli alpini
Due vicende recenti mi hanno fatto riflettere sulla relazione tra gli Schützen di Andreas Hofer, le Camicie Rosse di Garibaldi e gli alpini. Troppo stesso si fa un minestrone. La riflessione è stata pubblicata sul giornale L'Adige dell'1 novembre 2016.
Il ciclo di incontri culturali di novembre, organizzati dal Circolo Eridio di Ponte Caffaro, ha chiuso le numerose e, in generale, efficaci commemorazioni del 150.mo anniversario della Campagna garibaldina del 1866, tenute in estate nelle Valli di Ledro e del Chiese e nella bresciana Valle Sabbia. Hanno visto un’ottima partecipazione e hanno avuto il merito di coinvolgere anche chi non si interessa in modo approfondito della storia. Con qualche stonatura, tuttavia.
Sono rimasto sorpreso quando sui manifesti in ricordo della battaglia di Monte Suello del 3 luglio ho visto accostate le immagini di Andreas Hofer e Giuseppe Garibaldi. Ho letto poi nei resoconti che «nella rievocazione la compagnia degli Schützen di stanza a Forte Larino è stata accomunata in chiave folk alle coreografiche sbandierate dei garibaldini toscani».
Che cosa hanno da spartire Hofer e Garibaldi? La loro azione si colloca a distanza di mezzo secolo e in ambiti politici differenti, diversa era anche la loro posizione culturale e religiosa, ma, soprattutto, diverso era il loro ideale di patria. Mentre Garibaldi combatteva per la patria intesa come «Vaterland», la patria-nazione, Hofer difendeva la patria intesa come «Heimat», cioè il luogo e le tradizioni in cui sono cresciuto.
Nella cultura tedesca il concetto di «Heimat» si definì e sviluppò come una reazione alla perdita dell’identità della comunità di origine a partire dal Settecento, quando la nascente industrializzazione produsse un esodo massiccio della popolazione dalle aree rurali verso le grandi città. In quel periodo l’unificazione politica della Germania, guidata dalla Prussia, cancellò i piccoli stati, mentre su un altro versante tedesco, l’Impero degli Asburgo doveva fare sempre di più i conti con le tensioni ungheresi, slave e italiane. La «Heimat» fu quindi una reazione patriottica, ma non in senso nazionalistico.
Semplificando un po’, potremmo dire che Andreas Hofer diede la vita per la «Heimat» tirolese, Giuseppe Garibaldi si batté per il «Vaterland» italiano.
Con la pace di Presburgo del 1805, stipulata tra Napoleone e il governo di Vienna, l’Austria cedette allo stato della Baviera i territori del Tirolo. La scelta fu poco gradita dalle popolazioni tirolesi, ed Andreas Hofer, un oste e commerciante di bestiame della Val Passiria, si ribellò ai nuovi occupanti e spinse il popolo alla rivolta, facendosi aiutare da volontari e dalle compagnie degli «Schützen».
Questi cacciatori tirolesi erano una milizia volontaria impiegata per la difesa territoriale, operante nel Tirolo fin dal 1511, quando l’imperatore Massimiliano emanò il «Landlibell» (Libello del Paese) che regolamentava la difesa del Tirolo, istituendo l’obbligo generale di leva per i sudditi abili alle armi. Nacquero così le compagnie degli «Standschützen» (fucilieri stanziali). Risale alle disposizioni del 1511 l’istituto delle «compagnie del bersaglio» («Standschützenkompanien»), che furono attive in ogni comunità del Trentino fino allo scoppio della Grande Guerra. Furono mobilitate contro Napoleone e i Franco-Bavaresi (1796-1809), durante le Guerre d’Indipendenza (1848, 1859 e 1866), infine nel 1915, quando, per contrastare l’attacco italiano contro l’Austria, l’imperatore le militarizzò.
Andreas Hofer, un uomo profondamente religioso, fu condannato dal tribunale militare francese e fucilato a Mantova il 20 febbraio 1810. Dinanzi al plotone di esecuzione tenne nelle mani un crocifisso ornato dai fiori. Si racconta che le sue ultime parole furono: «Franz, questo lo devo a te!», riferendosi all’imperatore di Vienna Francesco I che non aveva difeso il Tirolo.
Garibaldi era nato tre anni prima della fucilazione di Hofer. La sua storia è nota a tutti. Egli non combatté sicuramente per la sua «Heimat» quando portò i volontari a Roma, in Sicilia o in Trentino. La sua città natale, Nizza, fu annessa una prima volta alla Francia dal 1793 al 1815 e poi, definitivamente, nel 1860. Garibaldi combatteva per costruire e unificare la patria-nazione italiana, sebbene anche lui abbia patito con Hofer la delusione di vedere assegnata la sua terra a una nazione che riteneva innaturale. A marcare le differenze sta anche il fatto che Garibaldi non era né religioso né ateo, ma sicuramente anticlericale, uno scomunicato bollato come un senza Dio dalla propaganda cattolica.
Mettere insieme Hofer e Garibaldi, «Schützen» e Camicie Rosse nel segno del folclore e di una «pax gastronomica», senza rendere chiari gli ideali dei protagonisti commemorati, è fare un minestrone che squalifica la rievocazione storica, è una forzatura che ha poco da spartire con la storia.
A metà ottobre mi ha sorpreso anche la notizia relativa alla commemorazione del 250.mo anniversario della nascita di Adreas Hofer. La cerimonia si è svolta a Ballino, dove il grande tirolese lavorò tre anni come stalliere all’osteria Armani-Zanini tra il 1785 e il 1788, prima del compimento dei 21 anni, e dove è ancora ricordato come «oste barbón».
Alla celebrazione hanno presenziato dirigenti della Lega Nord provinciale e simpatizzanti di questo partito, che hanno tirato dalla loro parte la manifestazione; ha portato il suo saluto Walter Kaswalder, consigliere regionale del Patt, ma sono state vistosamente assenti le compagnie degli «Schützen». Ad oggi non ho visto una nota ufficiale sulle motivazioni della loro assenza. Pare - come ha già scritto questo giornale - che i malumori siano stati connessi alla presenza degli esponenti politici della Lega e del Patt, la prima considerata lontana dalle istanze degli «Schützen», l’altro perché rappresentato da Kaswalder, reo di non essersi opposto all’adunata degli alpini a Trento nel 2018.
È anche questo un esempio di come la storia venga talvolta piegata in nome di una visione distorta dalla politica di oggi o dagli interessi degli organizzatori (perché spesso le iniziative servono prima di tutto a dare visibilità a chi le organizza e vi partecipa). Nella giornata di Ballino sono probabilmente cadute tra i rovi, come la semente del vangelo, le parole dello storico Graziano Riccadonna: «Andreas Hofer ci insegna che la convivenza tra gruppi diversi è motivo di ricchezza culturale e non produce conflitti, ma assicura il rispetto dei diritti».