I 500 anni della Riforma protestante

27.10.2017 11:09

(L'Adige 27 ottobre 2017) Il 31 ottobre del 1517, 500 anni fa, furono affisse alla porta della chiesa di Wittenberg (Sassonia) 95 tesi del monaco agostiniano Martin Lutero sul valore e l’efficacia delle indulgenze, sul fatto cioè che la chiesa potesse rimettere ai vivi e defunti la pena dei peccati. Fu la scintilla che fece divampare la Riforma protestante.

Le tesi biasimavano la predicazione e vendita dell’indulgenza plenaria indetta dal papa per finanziare la riedificazione della basilica di S. Pietro in Roma: coloro che, invece di recarsi in pellegrinaggio nella Città Santa, avessero versato un obolo per la costruzione avrebbero ottenuto un riscatto totale delle pene del purgatorio.

Il commercio delle indulgenze era assai diffuso in tutta l’Europa occidentale, ma questa volta le conseguenze furono devastanti, perché Lutero interpretò l’iniziativa romana come un ennesimo abuso e perché fin dall’inizio si inserirono questioni di politica locale.

Nel 1513 Alberto di Brandeburgo, un frivolo rampollo degli Hohenzollern, era diventato arcivescovo di Magdeburgo. Già l’anno successivo, il capitolo di Magonza aveva chiesto che fosse nominato anche arcivescovo e principe elettore di quella potente arcidiocesi. Alberto infatti aveva espresso l’intenzione di addossarsi le tasse che si dovevano pagare all’atto dell’insediamento e di cui, per la terza volta ormai nell’arco di un decennio, Magonza era diventata debitrice verso Roma.

Si trattava di 14.000 ducati. Alberto però voleva mantenere anche altre due diocesi, dando luogo a una inammissibile cumulazione di prebende. La Curia Romana diede la dispensa dietro versamento di una nuova tassa di 10.000 ducati.

L’arcivescovo accese un prestito di 24.000 ducati con i Fugger di Augusta e la Curia stessa gli indicò come ammortizzarli: per otto anni avrebbe avuto il monopolio della predicazione dell’indulgenza e avrebbe potuto trattenere la metà del ricavato. In tal modo l’indulgenza fu trasformata in merce di scambio, creando un affare commerciale di grandi dimensioni.

In qualità di commissario pontificio Alberto emanò un’Istruzione per i predicatori e confessori. La dottrina presentata era corretta nel quadro della concezione di quel periodo, ma in pratica, con l’uso di formule pie e di superlativi, si arrivava a un’esaltazione reclamistica al fine di conseguire il più alto provento possibile.

Si poteva comperare una «lettera di confessione» che faceva partecipare ai beni spirituali della chiesa militante. Con essa il peccatore, in qualsiasi momento, avrebbe potuto confessare a un sacerdote anche i peccati riservati al papa e ottenerne il perdono e la cancellazione delle pene ultraterrene. I predicatori dovevano annunciare espressamente che non c’era bisogno di pentirsi.

Si poteva ottenere un’indulgenza plenaria anche per i defunti, senza pentimento e senza confessione, unicamente con versamento del denaro. Perciò fu messa sulle labbra del predicatore domenicano Johann Tetzel la frase: «Appena la moneta tintinna nella cassetta, l’anima salta fuori dal purgatorio». I fedeli furono indotti così a rimandare la penitenza e fu rafforzata l’impressione che ciò che interessava era il denaro, non la salvezza delle anime.

Lutero capì subito che l’indulgenza andava contro la sua visione della giustificazione per mezzo della fede, favoriva falsa sicurezza e indolenza spirituale, non sanava la concupiscenza e non stimolava il desiderio di Dio. A Wittenberg il principe ne aveva vietato la predicazione, ma uomini e donne si recavano nello stato vicino, comperavano le lettere e venivano poi a confessarsi da Lutero.

Con lettera del 31 ottobre 1517, Lutero mandò le sue tesi al suo vescovo e all’arcivescovo Alberto, invitando quest’ultimo a ritirare l’Istruzione. Solo dopo che i vescovi non ebbero risposto, trasmise le tesi ad altre persone di cultura. L’affissione alla porta della chiesa di Wittenberg, di cui parlò per la prima volta il protestante Melantone nel 1546, non avvenne quindi il 31 ottobre del ‘17, e, quando ci fu, essa fu opera probabilmente degli studenti di Lutero.

Da ciò appare chiaro che Lutero non puntava temerariamente a una rottura con la chiesa. Lasciò infatti ai vescovi competenti il tempo di reagire sul piano religioso-pastorale. Ci fu la possibilità di sfruttare in senso positivo la sua provocazione per una riforma della chiesa.

La rottura con Roma, inoltre, non era ancora un fatto compiuto con le tesi sull’indulgenza anche perché il loro contenuto non era in contrasto con la dottrina cattolica. L’indulgenza non era rifiutata in linea di principio, ma le opere dell’amore e la preghiera erano superiori; anche Lutero sottolineava la necessità della confessione come condizione per il perdono divino e riaffermava la dottrina del purgatorio.

La rapida diffusione delle tesi e il loro effetto incendiario non derivarono perciò dal contenuto del documento, ma dalla sua impronta polemico-popolare. Lutero toccava questioni, lagnanze e risentimenti che covavano da molto tempo e traevano la loro origine da cause più ampie: il processo di emancipazione che si era verificato alla fine del medioevo aveva contestato la superiorità del clero anche oltre la sfera religiosa; con l’inizio dell’epoca nuova il laico era diventato più critico dinanzi agli abusi presenti nei papi e nel clero, più sensibile di fronte al contrasto tra ideale e realtà, dottrina e vita. La «libertà dell’uomo cristiano» fu così la parola d’ordine della Riforma.

Lutero divenne quindi il portavoce di un malcontento diffuso e di una speranza più volte delusa. La sua esperienza religiosa a proposito della giustificazione per la sola fede doveva necessariamente condurre al conflitto con la prassi delle indulgenze e con le forme di pietà della sua epoca. Questo però non avrebbe portato alla divisione della chiesa se, da un lato, i vescovi e il papa avessero accolto positivamente l’appello alla riforma e se, d’altra parte, lo stesso Lutero avesse avuto più pazienza e maggiore disponibilità. Il resto lo fece la forte e contraddittoria personalità di Lutero che non contrastò le ingerenze dei principi tedeschi.

La spaccatura religiosa fu resa definitiva dalla pace di Augusta del 1555, che sanzionò la convivenza giuridica di due confessioni, la cattolica e la protestante, e consegnò la religione al potere politico. I sudditi infatti dovettero aderire alla confessione del loro principe («cuius regio, eius et religio»).