La pandemia chiama pazienza

18.05.2021 09:56

L'Adige di oggi pubblica, con partenza in prima pagina, un mio articolo che presenta l'ultimo libro del teologo evangelico Jürgen Moltmann e fa una riflessione sulla pazienza che la pandemia ci obliga ad esercitare:

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Da più parti dell’Italia e dell’Europa sale verso i governi la richiesta: Togliete il coprifuoco e date il via libera alle aperture - ma i ministeri della Salute continuano prudentemente a frenare. Dobbiamo quindi armarci di pazienza e resistere.

La pazienza è forse la virtù fondamentale che la pandemia ci ha chiesto di esercitare. Ma essa non è una qualità per le emergenze o per le stagioni dolorose della vita, anche se la sua radice sta nel verbo patire. È una categoria costitutiva di tutta la precaria esistenza umana, crea robustezza, alimenta i legami sociali. E va appresa.

«Io ho sperimentato e imparato la pazienza durante la malattia senza speranza di mia moglie. Il mio libro sulla pazienza è nato durante questi anni. Gli altri ci vengono incontro con pazienza, compassione e solidarietà e ci danno tempo e spazio e forze per vivere. E noi, con pazienza, compassione e solidarietà, ci avviciniamo agli altri dando a loro tempo e spazio e forze per vivere. La pazienza è l’energia della convivenza. Se non abbiamo più pazienza tra di noi, si rompe il vincolo reciproco della nostra comunità».

Sono le prime righe di un libretto di Jürgen Moltmann, il massimo teologo evangelico contemporaneo, intitolato «Pazienza, misericordia e solidarietà», che l’editrice Queriniana fa arrivare nelle librerie in questi giorni. I critici lo hanno definito «un bouquet di esperienze dense, intense, preziose - addirittura poetiche, un libro colmo di speranza dove si fondono in modo toccante la saggezza e pazienza della vecchiaia e l’attesa del futuro». I testi si sviluppano in due direzioni: da un lato indicano qual è il significato di queste virtù, dall’altro suggeriscono dove le si apprendono e come le si praticano.

Fermiamoci alla pazienza, anche se non è di moda parlarne perché, dopo il tramonto della società contadina e l’avvento del globalismo, il nostro stile di vita è diventato sempre più frenetico e stressante, per lo meno finché non è arrivato il Covid. Non sappiamo più attendere. Gran parte della nostra azione educativa naufraga sul “tutto e subito”. Non diamo tempo alle persone e alle situazioni di maturare ed evolvere gradatamente. Non abbiamo pazienza neppure con noi stessi.

Eppure tutta l’umanità è avvolta dalla pazienza della Terra e di Dio. L’umanità infierisce contro la Terra, ha dimenticato che «noi non siamo padroni della purezza dell’aria o dello splendore dell’acqua... gli uomini hanno scordato i diritti dei propri figli», come scrisse nel 1855 un capo indiano al presidente degli Stati Uniti. Eppure la Terra è paziente con noi uomini. Anche Dio usa pazienza infinita con l’uomo, anche se già una volta si è pentito di averlo creato.

Nell’immaginifico testo biblico che introduce al diluvio universale leggiamo: «Il Signore si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo. Il Signore disse: Sterminerò dalla terra l’uomo che ho creato, e con l’uomo anche il bestiame e i rettili e gli uccelli del cielo, perché sono pentito d’averli fatti». Dio però ha sempre di nuovo speranza nell’umanità, e la sua pazienza crea vita: «Ma Noè trovò grazia agli occhi del Signore», continua la Bibbia, e fa seguire la storia dell’arca della salvezza.

Le ondate della pandemia reclamano la nostra pazienza, come accade ad ogni mese che passa della nostra vecchiaia. Così può rifiorire la nostra speranza. La speranza entusiasma, la pazienza è faticosa. La speranza rende luminosa la vita, la pazienza la appesantisce. Chi spera si avvia verso nuove sponde, chi esercita la pazienza è disposto a sopportare, ma questa sopportazione pone le basi della resilienza.

La speranza si sposa con la giovinezza, la pazienza con la maturità e la vecchiaia. Ma «giovinezza e vecchiaia - scrive Moltmann - non vanno misurate sull’età anagrafica, sono questione di esperienze di vita, sono atteggiamenti nei confronti dell’esistenza. Divento giovane ed esploro le avventure della vita, sono vecchio e imparo a sopportare le sofferenze del commiato».

Ma come si impara la pazienza? Moltmann dice che è necessario cominciare dal rafforzare la pazienza con se stessi imitando il poliziotto e il criminologo che aspettano con pazienza il momento giusto per risolvere il caso, il cacciatore che fa la posta alla preda e lo scienziato che sa attendere l’idea illuminante. È necessario tenere a bada la propria impazienza e imparare l’autocontrollo. Della pazienza con se stessi fa parte anche l’amore concreto della verità. Non ci si può accontentare di rapide soluzioni apparenti. A volte si deve addirittura accettare l’insolubilità come soluzione del problema.

La pazienza con se stessi va imparata anche rispetto alle proprie disabilità, quando gli organi smettono di cooperare, quando diventa più difficile vedere e sentire, le gambe sono doloranti e le dita anchilosate. La si impara accettando le proprie disabilità e sfruttandole al meglio, in un’accettazione di sé che si acquista - tuttavia - quando si sperimenta di essere accettati da altri.

La pazienza con se stessi è messa alla prova nelle sconfitte della vita, quando ci si sente perdenti in una società orientata al successo. Se mancano il riconoscimento degli altri e la stima sociale, l’autocritica diventa spesso disprezzo di sé. Allora è indispensabile quella pazienza con se stessi «che si basa - scrive Moltmann richiamandosi all’apostolo Paolo - sulla sicurezza di sé senza la gloria delle opere della legge», perché tutti siamo giustificati gratuitamente.

Moltmann ha compiuto 95 anni qualche giorno fa. La perdita della moglie dopo una lunga malattia invalidante, lo ha portato a spostare la riflessione dalla speranza alla pazienza e a trasmettere al frenetico e talora superficiale mondo di oggi un messaggio importante: «Incontrandoci con pazienza, misericordia e solidarietà, costruiamo e alimentiamo la convivenza».