La preghiera e gli interrogativi dell'esistenza
L'Adige di oggi pubblica, con partenza dalla prima pagina, la mia riflessioe su "La prehiera e gli interrogativi dell'esisteza". Di seguito riporto integralmente l'articolo:
Lo scorso 6 febbraio, papa Francesco, intervistato da Fabio Fazio a «Che tempo che fa», alla domanda: Cos’è la preghiera? ha risposto con parole che semplificano la vita a chi crede e a chi non crede. «Pregare - ha detto - è quello che fa il bambino quando si sente limitato, impotente, [e dice:] “papà, mamma”... Pregare è entrare con la forza, oltre i limiti, oltre l’orizzonte, e per noi cristiani pregare è incontrare il papà».
Proprio in questi giorni è uscita la traduzione italiana di un libro di Christoph Böttigheimer sulla preghiera, focalizzato sul senso e non-senso della preghiera di domanda. Il titolo è «(In)Sensatezza della preghiera. Alla ricerca di una ragionevole responsabilità» (Editrice Queriniana di Brescia). Böttigheimer è professore di teologia fondamentale presso l’università tedesca di Eichstätt-Ingolstadt. In italiano ha pubblicato altri tre libri sulle difficoltà della fede, su «come possiamo avere le idee giuste su ciò che va creduto con fede», sul contributo dell’essere-riconosciuti per la formazione della personalità. È uno dei firmatari del memorandum «Chiesa 2011: una ripartenza necessaria», firmato da 311 teologi cattolici, un forte appello a riformare la chiesa.
«Non è un male - scrive Böttigheimer - che incredulità e scetticismo vengano integrati nella preghiera - anche se ci si rivolge a Dio dubitando, disperandosi, lamentandosi, accusandolo - perché allora la fede diventerà senz’altro più sincera e, alla fine, più matura. Se non accade questo, la preghiera diventa formula vuota».
Il libro evidenzia le obiezioni della filosofia, delle scienze naturali e della teologia alle preghiere che esprimono richiesta o supplica, intercessione o invocazione, e cerca di trovare una loro legittimazione razionale. Non dà risposte a buon mercato. Finisce col trattare questioni fondamentali della fede nel Dio cristiano e - alternando domande e tentativi di risposta - offre in chiave critica una chiarificazione di alcuni concetti correnti sulla natura del Divino.
Alla fine conferma che la preghiera è consapevolezza delle sfide e degli interrogativi del credere. È il cosciente e accettato smarrimento dinanzi ai misteri del cosmo e ai grandi interrogativi della nostra esistenza, ai quali non si può rispondere scientificamente: Cosa c’era prima del big bang? Da dove viene l’immensa energia del cosmo? Questi quesiti portano alla domanda fondamentale della metafisica, come la posero Leibniz e Heidegger: Perché c’è qualcosa anziché il niente? E poi: Qual è il senso della mia vita personale? Per che cosa sono venuto al mondo? E, ancora, il problema dei problemi: Che rapporto c’è tra il male e il dolore, la bontà e l’onnipotenza di Dio? Come si giustifica la morte di un bambino dilaniato dal cancro? Perché Dio non gradì Caino e i frutti del suolo che gli aveva offerto? Il mantenere aperte queste domande denota l’incertezza di una fede illuminata, mentre il tentativo di ignorarle o ridicolizzarle è espressione di una fede infantile.
Neanche papa Francesco ha dato risposte scontate e a buon mercato. «I bambini - ha affermato nella citata intervista - nel loro sviluppo psicologico passano per quella che si chiama l’età dei perché. Perché si svegliano, vedono la vita e non capiscono, e dicono: “Papà, perché? Papà, perché?”. Ma se noi guardiamo bene, il bambino non aspetta la risposta del papà, quando il papà incomincia a rispondere va a un’altra domanda. Quello che vuole il bambino è che lo sguardo del papà sia su di lui. Non importa la spiegazione, importa solo che il papà lo guardi, e questo gli dà sicurezza. Pregare è un po’ tutto questo».
La vera preghiera è imparentata con tanto silenzio, scrive Böttigheimer. Il silenzio nostro e di Dio: «Il silenzio di Dio è un problema per l’uomo che pensa, perché solleva la questione se veramente esista questo Dio personale al quale egli si rivolge fiducioso nella preghiera. L’esperienza di un Dio apparentemente silenzioso può portare a una profonda insicurezza di chi prega. Ma Dio, come è avvenuto per Elia sull’Oreb, può essere presente e parlare all’uomo anche nel suo silenzio, che può essere espressione della sua presenza arcana. la Sacra Scrittura tematizza la presenza di Dio nel silenzio, che può essere compreso anche come modo della rivelazione divina».
Da parte dell’uomo l’humus della preghiera è la consapevolezza del limite e della precarietà. La sua prospettiva è la speranza. Quando articola domande, lo fa per dialogare col non-credente che è in noi, per riflettere su se stessi, sugli altri che ci stanno attorno, sul mondo e anche su Dio. «Quando tu ti abitui a dire “papà” a Dio - ha detto ancora papa Francesco - significa che stai andando bene, sei sulla strada della religione, ma se tu pensi che Dio è quello che ti annienterà nell’inferno, se tu pensi che Dio se ne infischia della tua vita, che non gli importa, la tua religione sarà superstizione. Pregare significa guardare, dai miei bisogni, dalla mia piccolezza, come fanno i bambini che dicono “papà”».
Solo nel silenzio noi riusciremo a prendere posizione dinanzi alle domande più urgenti del nostro tempo e scopriremo che cosa possiamo fare per collaborare a una soluzione.