L'Ave Maria e i tre anelli
L’Adige di oggi pubblica, con partenza in prima pagina, la mia riflessione sul rapporto tra le grande religioni monoteistiche.
L’Ave Maria e i tre anelli
Anche stamattina è suonata la campana dell’Ave Maria. Ma quanti oggi ricordano che questo suono richiama la vittoria a Lepanto dell’Occidente sui musulmani di cui ricorre oggi il 450° anniversario?
Il 7 ottobre 1571 la flotta della Lega Santa, una coalizione cristiana federata sotto le insegne pontificie, affrontò nel mare di Lepanto (oggi Naupaktos, Grecia occidentale) la flotta musulmana dell’Impero ottomano. Dopo cinque ore di combattimento, lo scontro si concluse con una vittoria delle forze alleate occidentali, comandate dall’ammiraglio spagnolo don Juan de Austria, figlio naturale dell’imperatore Carlo V d’Asburgo. L’ammiraglio turco si suicidò per non cadere prigioniero e la sua flotta fu dispersa.
Nello stesso giorno di Lepanto, papa Pio V, mentre era intento a recitare il Rosario, ebbe una visione in cui i cristiani vincevano sui Turchi musulmani. Qualche giorno dopo un messo di don Juan de Austria gli confermò la notizia. Per commemorare la vittoria il papa ridefinì la preghiera dell’Ave Maria nella forma in cui la recitiamo oggi, stabilì che ogni chiesa suonasse le campane al mattino, a mezzogiorno e alla sera, aggiunse le Litanie alla recita del Rosario inserendovi l’appellativo «Auxilium christianorum» (aiuto dei cristiani), e stabilì inoltre che il 7 ottobre diventasse un giorno festivo consacrato a Santa Maria delle Vittorie. Qualche anno dopo il suo successore Gregorio XIII trasferì la festa alla prima domenica del mese di ottobre intitolandola alla Madonna del Rosario.
Lepanto segnò la fine del potere navale ottomano e arrestò l’avanzata dei musulmani nel Mediterraneo occidentale, così come il fallito assedio di Vienna del 1683 ne bloccò l’avanzata terrestre. Con Lepanto e Vienna finì lo stato d’animo di rassegnazione e quasi di paura ossessiva che aveva prostrato l’Occidente, oppresso dal mito dell’invincibilità del Turco.
Lepanto e Vienna ebbero un’enorme importanza anche per la cultura e la politica successive perché sottolinearono l’incompatibilità dell’islam con l’Occidente, una posizione di cui oggi scopriamo sempre più l’inutilità e le contraddizioni. Nelle polemiche seguite agli attentati dell’11 settembre 2001, molti, in nome forse di un irenismo e di un ecumenismo spinti all’eccesso, hanno negato il carattere intrinsecamente bellicoso dell’islam, poi anche papa Ratzinger ha condannato il fondamentalismo religioso. Altri hanno continuato ad evidenziare che Maometto fu in realtà l’unico fondatore di una religione che fu anche un capo guerriero; fin dall’inizio l’Islam si espanse con la violenza, e la «jihad» (guerra santa) è uno dei precetti fondamentali della dottrina e della prassi musulmana.
Queste caratteristiche della conquista furono (e sono) assenti nel cristianesimo? La fede cristiana si diffuse solo grazie ai martiri, che versarono docilmente il proprio e non l’altrui sangue, come fanno invece oggi i fanatici di Allah che si uccidono per portare la morte? Abbiamo dimenticato le Crociate, l’Inquisizione, l’evangelizzazione a fianco dei «conquistadores» che impugnavano la spada, i battesimi «con l’idrante», come diceva sessant’anni fa padre Ernesto Balducci? Il cristianesimo non sposò mai totalmente il pacifismo. Certo, non possiamo cancellare secoli di aggressività musulmana, ma nemmeno possiamo mettere sotto il tappeto l’aggressività cristiana verso i musulmani e gli ebrei, gli infedeli in genere e gli eretici o, meglio, quelli che una parte della chiesa giudicò eretici. E nemmeno possiamo scordare i roghi delle cosiddette streghe che altro non erano che guaritrici ecologiche.
Uno dei campi di tensione più preoccupanti e delicati del mondo attuale è quello tra la costellazione turco-arabo-musulmana e la costellazione che si richiama alla cultura occidentale. È così da molti secoli. Qualcuno esalta oggi le battaglie di Lepanto e Vienna e invoca una nuova Lega Santa, altri condannano come ridicoli e più che inopportuni i bollori crociati che oggi riaffiorano in campo cattolico.
Forse ci può essere utile leggere la parabola dei tre anelli che sta al centro del dramma «Nathan il Saggio», l’ultimo lavoro teatrale di Lessing (1729-1781), ambientato in Palestina all’epoca della terza crociata (1187-1192). Descrive in che modo il saggio mercante ebreo Nathan, l’illuminato sultano Saladino e un templare cristiano riescono a colmare il divario tra ebraismo, islam e cristianesimo.
C’era un uomo che possedeva un anello che aveva il potere di rendere grato a Dio e agli uomini chi lo portava praticando l’amore per Dio e per il prossimo. Quest’uomo lasciò l’anello al figlio più amato e così via finché uno dei discendenti non ebbe tre figli che amava in egual misura. Prima di morire fece costruire due copie identiche dell’anello prezioso e diede ad ogni figlio un anello. Erano talmente identici che era impossibile provare quale fosse quello vero, così come per noi è impossibile sapere quale sia la vera fede. I tre fratelli litigarono e andarono da un giudice, il quale consigliò a loro di agire come se ognuno avesse il vero anello. Dio infatti non appartiene in modo esclusivo a nessuno e non ha bisogno di nessuno che combatta per lui.