Natale per tutti

20.12.2022 09:59

L'Adige di oggi pubblica la mia seguente riflessione sul Natale che ha per tutti il significato di festa della famiglia e della pace:

Natale per tutti

Festa della famiglia e della pace

Ci sono modi diversi per festeggiare il Natale, ma nessuno può sfuggire al fascino di questa festa, anche se non le associa particolari visioni religiose o esplicitamente cristiane. Le luminarie e gli addobbi, i doni e gli auguri, l’albero e persino il presepio sono di tutti. Per alcuni si ripete ogni anno un rituale consolidato: rappresentazione della Natività in chiesa, quindi a casa ad accendere le candeline dell’albero, rimirare le statuine e fare i regali in famiglia. Altri vogliono fuggire dal tradizionale trambusto natalizio dei nostri paesi e organizzano un viaggio, ma anche lì li raggiunge l’eccitazione di una festa che è diventata di tutti. L’albero illuminato e, talvolta, persino un presepe stilizzato sono allestiti anche nella hall dei grandi alberghi o degli aeroporti.

Il Natale ha avuto origine nella cultura cristiana, senza il suo significato cristiano non può essere compreso come festa dell’incarnazione di Dio, ma da tempo è anche diventato un patrimonio religioso della cultura mondiale, rivelando una grande forza unificatrice tra i popoli. Il semplice fatto che si celebri in tutto il mondo il Natale nello stesso giorno è un chiaro segno che ciò che è simboleggiato nelle immagini natalizie unisce le persone nonostante tutte le differenze religiose e culturali. Il Natale è di tutti e per tutti.

«I cristiani celebrano il Natale come grande festa della pace. Ma che senso ha, in un mondo senza pace, la speranza annunciata dal Natale? Che provocazione rappresenta per noi il Natale? Come incarnare l’utopia del diventare gente di pace, oggi?».

Si apre con queste sfide il libro «E pace sulla terra?», appena uscito presso l’editrice Queriniana, del filosofo e teologo tedesco Eberhard Schockenhoff. Il punto interrogativo nel titolo richiama il perenne scandalo che il desiderio di pace è insoddisfatto in molte parti del mondo, anche se la comunità internazionale, con la solenne sottoscrizione della Carta delle Nazioni Unite, ha messo al bando ogni guerra e ha rinunciato all’impiego di qualsiasi forza militare. L’annuncio del Vangelo è per tutti: «Sulla terra pace agli uomini che egli ama».

Nella moderna società industriale il contenuto religioso della memoria della nascita di Cristo è stato sostituito dalla commercializzazione e da un sentimentalismo superficiale; la festa dell’incarnazione di Dio è diventata una festa familiare borghese, in cui la piccola famiglia emersa dal processo di industrializzazione celebra se stessa. I valori dei vincoli familiari simulano, almeno per alcune ore all’anno, un’immagine idilliaca di concordia e armonia che dovrebbe far dimenticare la banale quotidianità familiare.

Tuttavia, difficilmente può essere contestata la distanza di molti contemporanei dal contenuto esplicitamente cristiano di usanze e riti originariamente religiosi. L’allestimento dell’albero di Natale e del presepe, l’accensione delle candeline, persino il canto di brani o l’ascolto di musiche natalizie sono spesso espressione di una diffusa atmosfera civile-religiosa che si accompagna a un’indifferenza interiore.

Come recuperare allora il senso originario e universale del Natale? Come il 2 novembre è - per credenti, agnostici ed atei - la festa della memoria dei nostri cari e visitiamo tutti le loro tombe, il Natale è per tutti la festa della famiglia e della pace. I desideri, gli stati d’animo e le speranze che si manifestano a Natale rivelano bisogni umani fondamentali che non perdono la loro legittimità per il fatto di essere staccati da convinzioni cristiane o di essere ad esse solo vagamente connessi.

Perché le persone che non seguono più le interpretazioni religiose della vita non vedono l’ora ogni anno che arrivi il Natale? Che cosa verrebbe a mancare se non ci fosse il Natale? Si tratta solo di sollecitazioni e aspettative del consumismo che nessuno può evitare nello sfarzo prenatalizio? È solo uno stato d’animo di esaltazione collettiva che per poche settimane all’anno ci affascina tutti? Oppure il Natale, al livello in cui molte persone lo vivono oggi, possiede ancora un valore aggiunto esistenzialmente significativo che neppure gli atei e agnostici vogliono perdere?

«Finché da qualche parte sulla terra - scrive Schockenhoff - c’è gente che subisce guerre, ingiustizie e persecuzioni, quello che celebriamo a Natale non può essere solo un illusorio desiderio di pace, un ansiolitico consolatorio di fronte ai disordini del mondo. Soltanto se prestiamo voce a quanti sono messi a tacere da violenza, intimidazione e oppressione, manteniamo viva la provocazione religiosa che viene dal Natale, la grande festa dell’amore di Dio».

L’attrattività del Natale in un mondo secolarizzato trova una spiegazione ovvia nel fatto che questa festa tocca, negli strati profondi dell’anima, questioni fondamentali dell’esistenza umana ai quali neanche i duri riescono a sfuggire. Tra tali questioni ci sono il ricordo della propria infanzia, l’atmosfera che circonda la nascita di un nuovo cittadino della Terra, il passare del tempo nel susseguirsi degli anni, la pratica di dare e ricevere reciprocamente doni, il desiderio di sicurezza e vicinanza.

Oltre a questa rilevanza privata della festa, ce n’è una sociale alla quale nessuno può sottrarsi: al Natale è collegato un messaggio di speranza e comprensione tra i popoli. Sia nelle prediche che nei discorsi politici di Natale, ma anche nei messaggi pubblicitari dei centri commerciali, è sempre espresso il desiderio di pace, l’auspicio che uomini e popoli trovino il modo di avvicinarsi e finiscano le guerre. Questo collega le forme espressive di una cultura post-moderna delle celebrazioni natalizie al significato originariamente religioso della festa. Questa è la vera ragione per cui ogni anno il Natale nuovamente ci affascina e ci produce il disagio che nasce dalla conoscenza dello scollamento tra la consapevolezza dell’impegno richiesto e la superficialità con cui lo decliniamo.