Se Gesù bussasse alla nostra porta
L'Adige di oggi pubblica, con partenza in prima pagina, una mia riflessione sul Natale:
Se Gesù bussasse alla nostra porta
Due mesi fa il francescano Enzo Fortunato, direttore della Sala Stampa del Sacro Convento di Assisi, ha pubblicato il libro «E se tornasse Gesù? La domanda al cuore del cristianesimo». La copertina raffigura Gesù in jeans e maglietta che, un giorno come tanti, bussa alla porta della stanza dove lavora il francescano. Le domande che pone all’uomo di oggi vanno dritte al cuore del cristianesimo e toccano l’essenza della nostra umanità.
Questo colloquio impossibile non è una novità nell’editoria contemporanea. Quindici anni fa lo scrittore Roberto Pazzi ha pubblicato il romanzo «L’ombra del Padre», dove Gesù reincarnato cammina per le strade dell’Italia del Sud, suscita grandi speranze ed enormi divisioni: c’è chi lo considera un ciarlatano, chi lo vede come una minaccia al potere costituito, chi lo segue con fede rinnovata. Ma in cielo c’è chi desidera ardentemente il fallimento della sua missione.
«Sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e apre la porta, io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli con me», si legge nel libro dell’Apocalisse. Si chiede allora padre Enzo Fortunato: «Se Cristo entrasse davvero nella mia stanza, cosa mi direbbe e mi chiederebbe? E io come reagirei? Apro la porta e ci guardiamo negli occhi, in un silenzio senza precedenti. Le reazioni nel mio cuore sono diverse, la prima è: Ho cercato di seguirti…, ma anche: Ho sbagliato tutto? Ti ho compreso?, e scoppio in lacrime... Poi ci guardiamo ancora negli occhi e capisco che non è qui per rimproverarmi ma solo per amarmi e rendermi capace di amare».
Il libro del religioso è un viaggio attraverso i grandi della letteratura moderna e contemporanea che hanno immaginato e narrato, ognuno a suo modo, il ritorno di Cristo sulla terra, dai russi Lev Tolstoj e Fjodor Dostoevskij agli italiani Ennio Flaiano e Carlo Michelstädter.
Si legge nei «Diari» di Tolstoj: «Se oggi venisse Cristo e desse alle stampe il Vangelo, le signore gli chiederebbero l’autografo, e niente più». Sarebbe accolto cioè come un commediante da applaudire e a cui chiedere indulgenza.
Qualcosa di simile accade nel «Cristo torna sulla terra» di Ennio Flaiano: «Viene assalito dai fotografi e dai cacciatori di autografi. Tra costoro si mischiano spie della Questura, provocatori, ruffiani, agenti del fisco, maniaci sessuali, giornalisti, le solite prostitute, un comitato internazionale e alcuni sindacalisti. Nonché sociologi, psicologi, strutturalisti e cibernetici, che accompagnano biologi, fisici e attori del cinema. La televisione trasmette le scene dei vari incontri. Pregato di fare alcune dichiarazioni sulla stampa, Gesù dice: “Chi ha orecchie per udire, oda; occhi per vedere, veda”. Gli chiedono se si tratterrà per molto: “Il tempo di essere rimesso in croce o di morire di freddo”. E aggiunge: “E adesso chi mi ama ancora mi segua”».
Il giovane friulano Carlo Michelstädter, suicidatosi a soli 23 anni, ha scritto ne «La persuasione e la retorica»: «Se Cristo tornasse oggi, non troverebbe la croce ma il ben peggiore calvario di un’indifferenza inerte e curiosa da parte della folla ora tutta borghese e sufficiente e sapiente - e avrebbe la soddisfazione di esser un bel caso pei frenologi e un gradito ospite dei manicomi».
A una conclusione analoga è arrivato anche il cardinale Gianfranco Ravasi: «Se Cristo tornasse tra noi, la gente non lo metterebbe più in croce. Lo inviterebbe a cena, lo ascolterebbe e gli riderebbe dietro le spalle. Oggi Gesù sarebbe semplicemente associato a qualcuno di ridicolo, a un idiota da osservare, se va bene, con compassione».
Fjodor Dostoevskij fece tornare sulla terra Gesù ne «La leggenda del Grande Inquisitore». Come aveva fatto davanti a Pilato e al sommo sacerdote nella sua prima venuta, Gesù tace anche di fronte all’Inquisitore, che conduce un lungo monologo: «Aspetta per qualche tempo che il suo prigioniero gli risponda. Il suo silenzio gli pesa. Ha visto che il Prigioniero l’ha sempre ascoltato, fissandolo negli occhi col suo sguardo calmo e penetrante e non volendo evidentemente obiettar nulla. Il vecchio vorrebbe che dicesse qualcosa, sia pure di amaro, di terribile. Tutt’a un tratto Egli si avvicina al vecchio in silenzio e lo bacia piano sulle esangui labbra novantenni. Ecco tutta la sua risposta. Il vecchio sussulta. Gli angoli delle labbra hanno avuto un fremito; va verso la porta, la spalanca e gli dice: Vattene e non venir più… non venire mai più… mai più! - E Lo lascia andare per le vie oscure della città».
La domanda: Se oggi Cristo bussasse alla mia porta, è familiare al modo di pensare di papa Francesco. Egli tuttavia ribalta la situazione. Nel marzo del 2013, nel cosiddetto pre-conclave ha tenuto un discorso che è stato considerato di candidatura all’elezione papale. In essa il cardinale Bergoglio ha sottolineato la necessità che la chiesa esca da se stessa. Ha affermato: «Gesù dice che sta alla porta e bussa. Ovviamente quel testo si riferisce a lui che bussa dall’esterno in modo da poter entrare... Ma adesso penso che a volte bussa da dentro, perché lo lasciamo uscire. La chiesa autoreferenziale pretende di tenere Gesù Cristo dentro di sé e non lo lascia uscire».