Un Comitato di Liberazione tutto da ridere

01.05.2021 11:06

Il 25 aprile 1945, dopo che le truppe alleate furono entrate a Milano, già liberata dai combattenti della Resistenza che fin dal febbraio dell’anno prima vi avevano costituito l’organizzazione politico-militare del Comitato di Liberazione Nazionale con lo scopo di opporsi al fascismo e all’invasione nazista, le milizie partigiane ebbero l’ordine dell’insurrezione contro i tedeschi.

In quelle stesse ore il governo fascista della Repubblica di Salò, come suo ultimo atto, sciolse dal giuramento di fedeltà i militari e i civili. Mussolini tentò una disperata fuga verso la Svizzera, ma il giorno 27 fu intercettato dai partigiani a Dongo, sul lago di Como, e fucilato. Il 29 aprile le truppe nazifasciste firmarono a Caserta una resa incondizionata che sancì la loro definitiva sconfitta.

In Trentino la situazione fu tuttavia ancora molto fluida perché le truppe tedesche erano ancora presenti sul territorio, sebbene avessero cominciato ad abbandonare le valli più meridionali. Solo il 4 maggio gli alleati entrarono a Trento.

Io ricordo che i tedeschi nella ritirata rastrellavano tutti gli uomini validi per non lasciarli al servizio del nemico. Anche mio padre temeva di essere preso. Passò ore e ore al davanzale della camera da letto, pronto a saltare nell’orto dei vicini e prendere il sentiero che sale verso la Rocca Pagana.

Storo fu occupato dagli americani nei primi giorni di maggio. Arrivarono da Riva, liberata il 30 aprile, due ufficiali e raggiunsero l’abitato a piedi, perché la strada che scendeva dalla Val di Ledro era stata fatta saltare dai tedeschi. Così come era accaduto a fine maggio del 1915, quando gli austriaci, abbandonando il confine del Caffaro per organizzare le difese sulle montagne, avevano smantellato alcuni ponti del fondovalle.

Ai due ufficiali americani andarono incontro il commissario prefettizio Costante Bugna e Antonio Scaglia Manciàt, che si prestò come interprete perché parlava l’inglese ed era cittadino degli Stati Uniti, dove era rimasto una ventina d’anni a fare il minatore e il sindacalista. Il Manciàt salì sul campanile e fece sventolare la bandiera a stelle e strisce. Ordinò quindi all’ex podestà fascista Silvio Bernardi, sua vecchia conoscenza americana, di ritirare dalla finestra la bandiera statunitense che aveva esposto con gesto opportunistico. Gli americani nominarono lo Scaglia primo cittadino, carica che tenne però per soli due giorni, finché fu insediato sindaco il commissario Bugna.

Nei giorni successivi si costituì anche a Storo un posticcio Comitato di Liberazione di cui riferì il farmacista Nino Scaglia, allora trentasettenne e già socialmente impegnato, che fu presente all’insediamento nel nuovo organismo:

«Della Resistenza - scrive - non voglio esprimere giudizi. Per moltissimi italiani essa è stata il periodo più luminoso della nostra storia, per altri è stata una cosa da dimenticare ed io lascio che ciascuno la pensi a modo suo, e non ne parlerei se non avessi da raccontare un episodio che - forse unico in Italia - è tutto da ridere.

Era commissario del nostro comune in quel periodo l’ottantenne Costante Bugna, uomo retto, buono per natura, saggio per antica educazione e di elevatissimi principi morali. Ma ingenuo oltre ogni limite. Egli sostituiva il podestà Bernardi allontanato perché fascista.

Il buon uomo, da quel pacifico pensionato che era, si era visto capitare fra capo e collo non solo la carica di commissario ma anche l’ordine perentorio di scegliere fra i cittadini ritenuti idonei ed aventi un passato irreprensibile una dozzina di persone con le quali costituire una specie di giunta provvisoria, una specie cioè di Comitato di Liberazione locale.

Che fa dunque il nostro Costante Bugna? Egli riceve il telegramma, lo gira e lo rigira fra le mani, pensa e ripensa, trascorre una notte insonne fra incubi e dubbi di ogni genere, poi al mattino si decide di agire secondo quanto gli suggerisce il suo buon senso. Il ragionamento che fa - stante il suo carattere adamantino - fila alla perfezione. Dice: Se gli uomini che erano alla testa degli enti pubblici prima - il presidente e il direttore della Cooperativa, del Consorzio Elettrico, del Dopolavoro, della Cassa Rurale ecc. - andavano bene, perché non dovrebbero continuare ad andare bene anche dopo?

Il sillogismo è - a suo modo di vedere - perfetto ed il brav’uomo lo mette in pratica. Ad uno ad uno manda a chiamare i vecchi dirigenti - tutti fascisti naturalmente - ed in un attimo mette in piedi il Comitato di Liberazione storese. Fra i prescelti, imbarazzatissimo come gli altri, ci sono anch’io. La cosa - ripeto - è da ridere e molti ridono sotto i baffi, ma non il commissario che, burbero ed imperterrito, è persuaso di aver agito per il bene della comunità.

Ovviamente il Comitato ha vita brevissima. Non ricordo se sia durato in carica uno o due giorni. Un secondo telegramma accompagnato da una secca reprimenda obbliga l’incauto primo cittadino a sciogliere il suo consesso e a costituirne un altro con elementi - si capisce - di pura fede antifascista.

Ho accennato a questo fatto solo per dimostrare una volta di più che a Storo fascismo e antifascismo sono stati cose somiglianti. Il passaggio dal primo al secondo è stato un semplice scambio di consegne senza scosse di sorta. Gli storesi sono fatti così».

In questo contesto, si può anche capire come alle prime elezioni comunali del dopoguerra il podestà Silvio Bernardi, che aveva guidato l’amministrazione per dieci anni nel periodo fascista e che i liberatori americani avevano spodestato, venne eletto sindaco all’interno di un listone sostenuto da socialisti e comunisti.