Giudicarie, la Comunità che vorrei

18.10.2022 10:56

Riflessione pubblicata su L'Adige del 18 ottobre 2022

 

Giudicarie - La Comunità che vorrei

 

La Fondazione don Lorenzo Guetti - Centro Studi sulla Cooperazione con sede a Larido (Bleggio Superiore) ha celebrato il decennale della sua fondazione con l’organizzazione di quattro giornate di cultura cooperativa concluse con la pubblicazione e presentazione del volume «La Comunità che vorrei. 40 sguardi carismatici sulle Giudicarie».

Nell’esprimere il mio pensiero sul tema proposto sono partito dalla storia delle Giudicarie, perché - come ha scritto recentemente nel libro «Rinnovamento a partire dall’origine» il cardinale Walter Kasper, frequentatore in gioventù delle montagne di Adamello e Brenta - «chi non sa da dove viene, non sa dove andare; chi perde la memoria della propria storia cade nella demenza». Quest’affermazione è uno sviluppo di quella icastica del più grande filosofo del Novecento, Martin Heidegger: «L’origine è futuro». È, questa, una convinzione radicata nella filosofia minuta dei paesi, dove ci conosciamo quasi tutti e davanti a un giovane non noto chiediamo: «Chi è il suo papà?».

Dopo una riflessione sulla storia giudicariese, io ho proposto alcune convinzioni che potrebbero aiutare a costruire un avvenire di serenità e benessere della «Comunità che vorrei».

Esistono i presupposti per prefigurare un futuro comune da Fiavè a Pinzolo, da Tione a Storo, ma perché l’unione politica e amministrativa riesca devono funzionare due cose, e funzionare durevolmente: a) gestione efficace ed efficiente di servizi moderni per l’intero territorio, b) ideazione di diversificati programmi di sviluppo che tengano conto delle specificità delle quattro aree giudicariesi (Rendena, Busa di Tione, Valle del Chiese ed Esteriori).

Tuttavia, i progetti di sviluppo approderanno a risultati duraturi solo se dappertutto faremo diminuire alcune debolezze. Le Giudicarie infatti sono un territorio economicamente subalterno perché sono culturalmente deboli. Per superare questa subalternità non basta fare ponti d’oro alle aziende che arrivano da fuori o promuovere il turismo con denaro pubblico. La subalternità economica va superata - o quanto meno diminuita - lavorando soprattutto in tre direzioni.

1. Va creato un maggiore senso di appropriazione del territorio intensificando la mentalità da ecomuseo. Tutte le Giudicarie devono diventare “museo”, per i residenti e per i turisti: tutto il territorio deve mantenere e valorizzare il suo «genius loci», acquistare identità e visibilità per i residenti e per uno sviluppo turistico non legato a mode esterne. In questa maniera, ad esempio, anche il paesaggio umano della Valle del Chiese, un’area che non presenta oggi aspetti turistici esaltanti, ma è caratterizzata dall’interessante insieme di numerosi e minuti segni di cultura materiale tradizionale, può aprire nuove potenzialità economiche se queste caratteristiche sono collocate e custodite in un paesaggio non ancora deturpato da sviluppi laceranti e unidirezionali.

2. Va alleggerita la dipendenza dalla città, restringendola a ciò che è indispensabile: la salute (tuttavia conservando e garantendo un servizio di prossimità per le esigenze di base) e la scuola (fatte salve la scuola dell’obbligo e le branche più richieste delle superiori). Quello che si può fare in valle si faccia in valle. Va bene tenere aperto il castello di Bondone per tutta l’estate in modo che chi lo desidera lo possa visitare, ma non credo che l’unico modo per farlo - e neanche il modo più efficace ed efficiente - sia affidare tale incombenza al MUSE. La mentalità Trento-centrica è radicata nei politici e nei dirigenti provinciali, perché è via comoda, ma spesso è sostenuta - involontariamente e in modo superficialmente rinunciatario - dagli amministratori e dalla popolazione locali.

3. È necessario lavorare maggiormente sulla formazione scolastica dei giovani. In questa direzione devono investire le pubbliche amministrazioni giudicariesi. È vero che negli ultimi trent’anni il tasso di scolarità superiore è notevolmente aumentato, ma il problema della subalternità culturale rimane. Molti giovani, una volta conseguita la laurea o la specializzazione, vanno in città, quando non all’estero. Così oggi parecchie aziende giudicariesi sono spesso costrette a cercare fuori il personale direttivo e specializzato.

Quindici anni fa accompagnai un pullman di turisti della Basilicata a visitare la Valle del Chiese. La cosa che più li impressionò era che ai margini di ogni paese c’era un’area industriale o artigianale. Sono ritornato con la mente a quelle aree: alcune aziende hanno chiuso definitivamente, altre si sono trasferite, qualcuna vivacchia, altre prosperano ancora. Che cosa ha fatto la differenza? Non le commesse. Non i contributi di Mamma Provincia. Qualche volta il ricambio generazionale. Sempre la debolezza culturale dei figli, incapaci di sostenere un credibile progetto imprenditoriale, di stare sul mercato, di relazionarsi con i dipendenti e con il territorio, di aggiornarsi continuamente.

Diminuire la subalternità culturale è un processo complesso. In un panorama sostanzialmente vivace e ricco di iniziative sociali come quello giudicariese, è importante chiarire il concetto di cultura: non deve limitarsi alla trasmissione di conoscenze, processi e protocolli, ma deve essere formazione della persona, di tutta la persona, quindi esige una dimensione dialogica e sociale, implica protagonismo ma anche capacità di coinvolgimento. Molte nostre iniziative “culturali” sono funzionali prima di tutto a chi le promuove e si contano i partecipanti per giudicarne la riuscita.

È necessario andare oltre la creazione di professionalità. Occorre fare promozione culturale per tutti, creare emozioni culturali per tutti, anche per gli adulti, perché la riuscita scolastica dei giovani dipende dalla stima per la cultura che respirano nel loro ambiente.

È diffuso un brutto difetto nelle nostre iniziative “culturali”: quello delle mode, della scopiazzatura, del voler scimmiottare la città, trascurando lo specifico che distingue il nostro territorio e la sua storia. Occorre allora abbandonare il sistema del “taglia e incolla” che si vede in manifestazioni che sono spesso trapiantate nei paesi senza alcun adeguamento al contesto. Siamo gente caparbia, ricca di fantasia e creatività, ma non sempre lo dimostriamo.