Il ruolo sociale della scuola
(pubblicato su L'Adige del 4 settembre 205)
Faccio gli auguri alla scuola che inizia il suo nuovo percorso annuale e li faccio in primo luogo alle scuole della periferia trentina, che è troppo spesso dipendente dalle limitazioni locali e culturalmente subalterna alla città.
Da oltre un decennio il compito delle scuole delle nostre valli è depositario di una grande opportunità: il fatto di unire tutti gli alunni della primaria e secondaria di primo grado di un’area con caratteristiche omogenee sul piano socio-economico consente ai singoli istituti comprensivi di proporsi come presidio culturale del territorio.
Perché però ciò avvenga effettivamente, è necessario non solo che ogni scuola faccia bene il suo lavoro, ma abbia anche il coraggio di uscire dai propri recinti tradizionali. Occorre che il territorio non sia più solamente un bacino di utenza o un allargamento delle aule e dei laboratori scolastici: l’ambiente non può essere ridotto soltanto a meta di visite guidate e a possibilità di percorsi naturalistici (a volte persino questo manca). Piuttosto, l’intera valle o porzione di valle con tutta la sua popolazione deve diventare campo di azione dell’istituto scolastico che deve re-interpretare il proprio ruolo sostenendo la diffusione - anche oltre i propri alunni - delle nuove competenze di cui il territorio ha bisogno per crescere culturalmente, professionalmente ed economicamente. Se questo manca, a che cosa è servita l’autonomia?
La base da cui partire resta comunque quella interna: elevare le performances disciplinari degli alunni, coltivare l’operatività necessaria al cittadino di oggi e ottenere buoni risultati nell’integrazione sociale. Auguro però alle scuole di saper fare un passo ulteriore, sviluppando iniziative di formazione anche verso l’esterno, i genitori in primis, così da elevare un pochino il livello culturale dell’ambiente, perché la riuscita scolastica degli alunni dipende per buona parte dalla stima per la cultura che respirano in famiglia e in paese.
Da anni i progetti di istituto stilano repertori di bisogni formativi, ma ci si ferma generalmente a quelli degli alunni, anzi, a quelli che gli insegnanti immaginano che essi abbiano, così da programmare e mettere in campo quello che sanno fare. Ogni istituto dovrebbe andar oltre questo steccato e farsi carico dei bisogni formativi del suo territorio, prendendo l’iniziativa di proposte formative senza attendere che ne sia formulata la richiesta, perché spesso è la proposta a far emergere il bisogno implicito.
In questo modo l’istituto si afferma come servizio di educazione/istruzione permanente anche oltre il tempo del diritto-dovere all’istruzione e incentiva l’accesso della popolazione ad informazioni e conoscenze. Se questo non accade (lo ripeto: nelle valli in primo luogo) si confermerà la subalternità culturale verso forze locali che sono più stabili del personale, e verso l’istituzione centrale e il centro in generale. Il risultato è che l’autonomia non viene sfruttata e la scuola è sentita come un corpo isolato nel suo ambiente.
Non basta dunque addestrare a leggere, scrivere e far di conto, e su su con le altre competenze più complesse, né il compito della scuola si esaurisce nell’educare al senso civico, tentando di formare gli alunni ad essere cittadini del mondo di oggi, ma l’istituto tutto assieme, dal dirigente, all’insegnante, all’applicata di segreteria e al bidello, deve assumersi un compito sociale più ampio. In altre parole: non basta replicare quello che si è sempre fatto, né essere fedeli esecutori delle direttive attuali dell’apparato provinciale.
Perché si realizzi la nuova visione, è necessario essere convinti della funzione sociale della scuola. Bisogna crederci. La conoscenza è valore, la conoscenza è possibilità. Il principale freno allo sviluppo del territorio non è tanto la mancanza di beni, quanto piuttosto la presenza di conoscenze deboli e frammentarie e la difficoltà a compiere scelte efficaci a causa delle scarse informazioni.
C’è un rapporto innegabile tra la scuola (anche quella di base) e il contesto economico del territorio. Anche un istituto scolastico è un’azienda nel senso che è un luogo dove - come dice etimologicamente la parola - l’azione di singoli individui cooperanti tra loro produce risultati per la comunità in cui si trova.
Tuttavia, il rapporto scuola-territorio - come è ovvio - non può essere sviluppato a senso unico. Oggi gli insegnanti hanno bisogno più di ieri di essere sostenuti e di trovare un certo livello di consenso e di partecipazione a ciò che stanno facendo. L’insegnante deve sicuramente conquistarsi stima e rispetto, ma il territorio deve fare la sua parte, muovendosi lungo tre linee: la prima riguarda il sostegno all’istruzione tradizionalmente intesa; la seconda riguarda il sostegno ai processi socializzativi sviluppati dalla scuola, a quei processi che aiutano l’integrazione sociale del giovane nel contesto più generale del territorio in cui vive; la terza è quella del sostegno alle attività culturali e didattiche che la scuola promuove all’esterno.
Il confronto scuola-territorio non deve risolversi in adattamento o subordinazione di una parte, ma deve essere dialettico. Auguro alla scuola di avere una spina dorsale robusta, che le permetta anche di andare contro corrente. Perché le logiche dell’avere non possono essere le sue; perché deve educare alla fatica e al sacrificio, il «tutto subito» non va bene; perché il binomio, dato per scontato per secoli, di «sviluppo = crescita» non è più vero e quindi la parola «limite» ha smesso di essere una brutta parola.
La scuola autorevole, come al suo interno non deve essere attendista e schiava dell’adempimento e suddita di impulsi di replica e imitazione, ma innovativa, creativa e capace di praticare la progettualità sociale, deve anche evitare una servitù passiva rispetto al territorio (famiglie, agenzie formative e culturali, enti amministrativi pubblici) e in particolare, parlando di economia rispetto al contesto, mantenere alto il livello della differenza del confronto e anche del conflitto se è necessario. Se diciamo tutti la stessa cosa, non diciamo più niente.
Soltanto vivacizzando dialetticamente il rapporto e l’interazione col territorio in cui operano, gli insegnanti si libereranno dallo sbandamento attuale, che deriva da un’eccessiva consegna alla scuola di deleghe, pacchi e pesi e produce un sovraccarico di responsabilità unilaterali. Soltanto così essi torneranno ad essere orgogliosi del loro mestiere e stimati nella comunità.