La morte nel medioevo e oggi
Domenica 12 giugno il coro Itinera di Storo ha tenuto un concerto di musica sacra, gregoriano e polifonia classica, presso la chiesa cimiteriale di s. Andrea di Storo. Ottime esecuzioni, coinvolgenti. Mi hanno invitato a dire qualcosa, in quatto intermezzi, sulla storia di questa chiesa e su come la morte era vista nel medioevo ed è vista oggi.
Ho concluso i miei interventi con questa riflessione:
Gli uomini e le donne del medioevo avevano paura del giudizio di Dio. Accettavano la morte ma temevano il giudizio. Anche i Battuti di Storo, che avevano la loro sede nella chiesa di s. Andrea, avevano una paura folle del giudizio di Dio:
Oggi della morte abbiamo più paura di ieri, ma è una paura latente, non manifestata, non socializzata. Abbiamo ancora paura, ma non abbiamo più confidenza. Oggi il compianto è più privato che comunitario, più riservato, non più circolare come era fino a qualche anno fa.
Oggi tentiamo di rimuovere la morte. La morte oggi è nascosta. È un evento spostato innaturalmente dalle famiglie agli ospedali, alle case di riposo e agli hospice dove sono portati a morire i malati terminali.
Una volta, nel comune destino della morte, si vedeva, oltre che un momento per tutti ineluttabile, un fatto che pareggia le differenze sociali e le ingiustizie del mondo. La morte infatti non rispetta privilegi e caste: “A morte è una livella”, diceva Totò.
Quando sento la campana da morto, chiedo per chi suona. Ma, anche se non lo dico, so che suona anche per me, suona la mia precarietà. Ogni morte porta via una parte di me, perché nessun uomo è un’isola, egli è parte della comunità. E allora - ha scritto Ernest Hemingway - “Non chiedere mai più per chi suona la campana, essa suona per te”.
Chiudo con un pensiero di consolazione: la morte non ha l’ultima parola. L’individuo continuerà a vivere nelle relazioni che ha avuto, nelle cose che ha usato, nelle opere che ha compiuto.